Soprattutto con intenti pedagogici nell’educazione dei bambini

Da quando sono padre, poco più di sei anni, mi sono trovato davanti a questioni che non avevo mai dovuto affrontare prima. Alcune più leggere altre più complesse, tutte però unite dall’urgenza con cui mi chiedevano di prendere una posizione rispetto a loro.

“Buongiorno, sono la questione Meglio i nonni o meglio il nido? e sono qui per capire cosa pensi di me. Devi scegliere”, mi ha detto una di loro. Poi sono arrivate anche “Quando inizierai a togliergli il pannolino?” così come “A tavola per avere 5 minuti di pace fargli vedere un video sul telefono è da genitori poco attenti o da esseri umani che per 5 minuti vogliono poter dire una cosa o prendere almeno quattro forchettate consecutive di pasta senza interruzioni?” e tutte le altre.

Da quando sono padre quelle questioni le ho viste e sentite affrontare anche da altri genitori che le affrontavano grosso modo nella stessa fase. A volte trovandomi vicino alle loro scelte, altre volte lontano. Come in ogni altra scelta che compiamo, piccola o grande che sia, siamo guidati da fattori molto personali: la nostra educazione, il nostro carattere, il nostro passato, la nostra attualità, le nostre esperienze, il nostro lavoro, le nostre passioni. Senza cadere nella trappola del giudicare l’altro, è interessante capire come quei fattori influenzano quelle scelte. Sforzarsi di capire l’umano, anche quando è distante da noi.

La questione che già il titolo anticipava è quella della TV.

La TV è spesso di bassa qualità e/o porta a passarci davanti molto tempo della nostra vita: meglio quindi non averla a casa? La questione è strettamente collegata alla sua variante da genitori: meglio non averla per evitare che i miei figli la guardino troppo e piuttosto riempire quel tempo conversando, giocando, scoprendo il mondo? E onestamente non ho avuto alcun dubbio, nemmeno un’esitazione, nel capire che idea avere a riguardo. “No”.

Mi trovo personalmente molto d’accordo sulla tesi che in TV passino robaccia e la guardo molto poco. Tuttavia non è un buon motivo per eliminarla del tutto o, ancor più sbagliato, vietarla ai bambini.

La prima ragione è che è una tesi anacronistica, che valeva più di un decennio fa quando non era così facile e accessibile avere abbonamenti a Netflix o Disney Plus o Prime Video, quando la sola alternativa che alzasse la varietà di offerta e offrisse canali tematici era vincolata all’abbonamento a Sky che però rappresentava una spesa decisamente superiore al costo di uno dei tre singoli servizi che elencavo qui sopra – e ce ne sono anche altri – che non tutti volevano accollarsi ogni mese.
Quando si era condannati a dover scegliere tra reality o arene politiche sbraitate o antesignani di Tinder con tronisti e corteggiatori, la tesi aveva una sua veridicità. Ora avere una TV significa avere a disposizione facilmente film, serie e documentari in streaming di estrema qualità, capaci di aprire la mente, insegnare cose, educare al bello.

Il concetto del bello mi porta dritto alla seconda critica. Davvero qualcuno crede che educare alla bellezza significhi cancellare dalla vista il brutto, il trash, il volgare, il banale? Tutto il contrario. Una considerazione semplice: come si potrebbe definire il bello senza il brutto? Esisterebbe l’idea stessa di notte se non sorgesse mai il sole? Come potremmo definire la tale bottiglia un buon vino se non avessimo mai assaggiato un vino pessimo? Cancellare il brutto è la scelta più sbagliata per chi voglia spiegare e insegnare il bello. Non è possibile sviluppare una reale sensibilità se ci si sforza di amputare i lati peggiori della realtà.

La terza confutazione alla tesi del Meglio che i bambini non guardino la TV allarga il pensiero alla gestione di ciò che può rendere tristi o del dolore altrui, cose che possono passare per esempio nei servizi di un TG. Non pensate anche voi che sia sterile crescere un bambino nascondendogli la possibilità che esistano le guerre? Nascondendogli per esempio la notizia di un funerale? L’aiuto che possiamo dargli non è la censura ma l’ascolto, il prenderli per mano, lo spiegare loro perché quella cosa purtroppo può accadere e come nonostante tutto si vada avanti. Crescere senza conoscere l’esistenza del dolore non è crescere, ahimè. Ma non addentriamoci oltre in discorsi ben più grandi della presenza o meno della TV in casa.

Serve crescere con approcci onnivori, stimolando la curiosità verso ogni cosa, sviluppando per esempio anche la capacità di spegnerla, la TV – ma se non c’è non si può nemmeno sviluppare quella capacità di porsi un limite nel suo utilizzo. Un’occasione in meno per fare i conti con la rinuncia, altro tema non banale.

Certo, non vanno abbandonati per pomeriggi interi. Certo, va spiegato perché quella cosa parla di quello e l’altra di quell’altro. Va mostrato cosa è una cosa fatta male e una fatta bene.

Serve anche abbandonare l’ansia che porta a cercare di continuo momenti in cui fare cose insieme, stimolarli di continuo, avere la paura che in quel minuto della loro vita non abbiano visto qualcosa di educativo. Perché anche la noia fa parte della vita e va conosciuta. Perché è giusto che grandi e piccoli si possano concedere anche tempi morti, momenti in cui stare in silenzio senza fare nulla.

Nel mio piccolo di adulto che si mantiene e mantiene i suoi figli scrivendo progetti creativi in un’agenzia, scrivendo per riviste e quotidiani nazionali, avendo scritto un libro a disposizione di chiunque in tutte le librerie d’Italia, nel mio passato di bambino ho pomeriggi interi passati davanti alla TV – Non È La Rai, Ok Il Prezzo È Giusto, I Fatti Vostri, decine di cartoni, le pubblicità imparate a memoria, i telefilm americani girati quindici anni prima, Power Rangers e da più grande altra robetta come Fuego in mezzo ai compiti – e nessuno di quei programmi culturalmente poveri mi ha tolto qualcosa. Anzi, ognuno di loro nel bene e nel male è stato un mattone nella costruzione di un senso critico o anche solo di una memoria di costume che credo mi mancherebbe oggi se non la avessi potuta conoscere.

I divieti non costruiscono nulla. L’esperienza diretta – ovviamente spiegata, guidata, affiancata – invece sì.