Apprendere con la gamification
Non molto tempo fa, in una di quelle giornate tipiche da divano, con bibita, TV accesa e smartphone alla mano, mi sono imbattuto in una applicazione che già conoscevo per sentito dire, ma che non avevo assolutamente mai provato a scaricare: “Duolingo”.
Per chi non la conoscesse, Duolingo è – a detta dei proprietari – “il miglior metodo al mondo per imparare le lingue”. Già questa premessa, oltre alla voglia di studiare una lingua nuova naturalmente, ha portato il mio dito a fare “tap” sul pulsante “Installa” nello store delle app e ad avere, in meno di un minuto, questo favoloso strumento sul mio device.
In realtà anche l’icona a mascotte – un simpatico gufetto verde dai grossi occhioni bianchi e neri – mi aveva in parte convinto a procedere con il download. Lo so, sono il tipo che si lascia convincere dalla copertina quando ha in mano un libro! Altra cosa che ha contribuito ad appropriarmi di questo strumento è stata la parola “Gratis”, perché sì, oltre ad avere in mano – sempre a detta loro – “il miglior metodo bla bla bla”, questo tool è pure gratuito.
Una volta scaricata l’app, la apro e, con mia sorpresa, mi rendo subito conto di essere immerso in un ambiente non serio o scolastico, ma giocoso e divertente. Una delle forze di Duolingo, a mio avviso, è infatti quello di utilizzare un metodo di apprendimento basato sulla “gamification” e quindi l’utente, proprio come in un videogioco, si trova ad affrontare livelli, via via sempre più difficili, ad acquistare punti e “corone” in caso di vittorie o a perdere vite in caso di sconfitte.
La mascotte “gufetto” che tanto mi aveva colpito all’inizio, la si ritrova poi nel corso delle lezioni; e, proprio come in un gioco, ci accompagna in questo viaggio-studio attraverso incoraggiamenti e cambi d’abito, acquistabili attraverso le gemme “lingot”, la valuta virtuale di Duolingo. Questo metodo di insegnamento, che si trasforma in un vero e proprio gioco, non fa altro che prendere gli elementi tipici dei videogames per trasformare azioni ripetitive e noiose in azioni volontarie e costanti nel tempo.
E basti pensare ad il successo che ha avuto ed ancora sta avendo per capire quanto questa formula “giocosa” sia in realtà una soluzione ed una strategia ben mirata ad obiettivi più importanti, come l’insegnamento di una nuova lingua, appunto, o l’abbattimento delle barriere linguistiche fra popoli e culture differenti.
Il concetto di utilizzare il gioco per trarne un insegnamento l’ho ritrovato poi assieme a mia figlia Viola, di 6 mesi – quasi 7.
Infatti, mentre lei è intenta a guardare i cartoni animati alla TV, naturalmente attratta, vista la sua tenera età, da colori, forme e figure, il padre (il sottoscritto) si sofferma sul contenuto di quel cartone.
Stiamo parlando di “Pocoyo”, in onda su RaiYoYo. Il mio collega Diego ha già scritto di quanto siano educativi i cartoni animati visti con suo figlio in questo articolo. Ma Pocoyo ha catturato la mia attenzione in modo particolare perché, proprio come nell’applicazione che ho scaricato e che utilizzo, si impone di insegnare una lingua in maniera giocosa e divertente. E lo fa attraverso Pocoyo, un bambino di età prescolare, e ai suoi amici, con canzonette e musica che permettono di imparare con agilità le prime parole di una lingua straniera.
La formula del gioco, visto non più come qualcosa di semplicemente ludico, ma come strumento per un fine più “alto”, è sicuramente stata vincente nei 2 esempi riportati e immagino lo sia per tutti coloro che hanno l’intenzione di adottarla come strategia.
Anche da una app o da un cartone animato si può imparare, tutto dipende dalla content architecture che gli si crea attorno. Il contenuto, infatti, non cambia. La lingua è sempre la stessa, no? A cambiare è la struttura di quel contenuto, il modo di presentarlo.
Ecco perché da queste due esperienze ho ricavato un ulteriore insegnamento, ovvero che il gioco è una delle tante strade da poter percorrere per giungere ad un obiettivo anche grande, in qualsiasi ambito o settore; sia che serva ad un bambino o a un adulto, a un’azienda o a un’agenzia creativa come la nostra.