Se questo è un diario come dicevamo all’inizio di questo blog, allora questo articolo non può essere che la pagina in cui scrivere delle conseguenze dell’imprevista situazione sanitaria che stiamo vivendo in questi giorni.

Oggi (il giorno in cui l’autore scrive, ndr) è mercoledì 4 marzo. In Italia si contano 2.260 contagiati e 80 morti, sono passati 3 giorni dalla nostra prima “Esercitazione” e tra altri 2 si svolgerà la nostra seconda “Esercitazione”.

Le tre righe che avete appena letto potrebbero essere l’incipit  di un nuovo disaster movie  in uscita in tutti i cinema, ma non possono esserlo perché si dà il caso che in questo preciso momento tutti i cinema siano chiusi per Ordinanza del Governo, quindi Hollywood non c’entra. Trattasi di cronaca locale.

Oltre ai bollettini di cui sopra, la cronaca locale tratta anche di un altro tema, prepotentemente venuto alla ribalta come conseguenza dell’arrivo del Nuovo Coronavirus: lo Smart Working.

La nostra prima “Esercitazione” (quasi militare) ha avuto proprio come test lo Smart Working. O almeno quello che crediamo si chiami così, perché in questo momento di grande confusione generale, anche le definizioni iniziano ed essere messe in dubbio. Come le tante teorie sul tema “lavoro da casa”.

Non me ne voglia nessuno, ma dopo aver letto decine e decine di articoli a riguardo, non è più chiara neanche a me la differenza tra lavoro da casa, tele lavoro, lavoro remoto, smart working o lavoro smart. Non mi è neanche affatto chiara la sua messa in pratica: tanti scrivono di teoria ma pochi – forse nessuno – scrivono di come metterla in pratica.

Proprio in questa lacuna si infila dritta questa pagina, che vi racconta, senza pretese di insegnamento, cosa abbiamo fatto noi e perché l’abbiamo chiamata “Esercitazione”.

La nostra situazione ante Covid-19

copiaincolla è sempre stata una realtà aziendale piuttosto ben organizzata, gli strumenti di collaborazione non mancano e anche le infrastrutture sono buone. Nulla di fantascientifico, ma abbiamo a disposizione una strumentazione che ci consente di operare professionalmente bene. Anche la connessione a internet è buona, niente di ipermegaveloce; il giusto per reggere una trentina di postazioni di lavoro più server e amenità varie. Qualcuno di noi tra l’altro lavorava già saltuariamente a casa, per lo più addetti marketing e commerciali, oltre a qualche altro caso di emergenza per cui il lavoro in remoto è stato provvidenziale. In sostanza partiamo con delle basi sufficienti da cui poter evolvere un “vero” Smart Working. Nel dettaglio, per i più tecnici e interessati: Email, Calendario, Contatti già accessibili da qualunque luogo per tutti con le Google Apps, messaggistica interna/esterna con Skype e possibilità di collegarsi da remoto alle risorse informatiche dell’ufficio.

La teoria e la sfida

Questo il punto che mi trova più critico nei confronti dei tanti articoli letti in rete e che mi ha spinto a raccontare la nostra esperienza. È certamente vero che lavorare da remoto per alcune mansioni non è difficile, avere qualche collega che ogni tanto lavora da remoto non è difficile, lavorare volontariamente da remoto non è difficile. Viceversa, far funzionare una intera organizzazione con quasi tutte le persone che lavorano da remoto è piuttosto arduo.

Questa è stata la nostra sfida: “L’esercitazione” di lavoro da remoto, come se, da un giorno all’altro, nessuno di noi avrebbe più potuto raggiungere l’ufficio. Caso irrealistico? Forse, anzi, speriamo. Tuttavia abbiamo ritenuto fosse importante metterci in gioco, poiché se da un lato seguire scrupolosamente le indicazioni igieniche del Ministero della Salute è fondamentale, dall’altro gran parte della nostra vita si basa sul lavoro, e senza poterlo esercitare, potrebbe essere critico.

La pratica

Tutto ciò che leggerete da qui in avanti è semplicemente il racconto della nostra esperienza. Non è un ricetta da seguire, è invece la messa in pratica di tante teorie lette e studiate. È stato difficile, non è andato tutto dritto, abbiamo investito molte ore di lavoro e abbiamo necessariamente dovuto acquistare qualche cosa che ci mancava. Non è stato gratis e non è stato sufficiente, ma è stato professionalmente notevole per tutti.

Ogni fase, ogni decisione e ogni iniziativa è stata condivisa in brevi riunioni plenarie nella quali si aggiornavano tutti i colleghi su ciò che si stava preparando. Queste a seguire le fasi in cui abbiamo suddiviso il progetto. 

Il censimento

Con l’aiuto delle colleghe dell’amministrazione e delle risorse umane, abbiamo censito la situazione che ciascuno di noi aveva a casa: computer (sì/no, nuovo/vecchio), sistema operativo (mac/pc), connessione (sì/no, adsl/fibra), ambiente domestico (posso lavorare/non posso lavorare, presenza di cani/gatti/nonni/mogli/fratelli) così da farci un’idea di chi tra noi poteva avere più difficoltà a lavorare con efficienza da casa. Oltre a questo, ciascuno di noi è stato valutato in base alla sua mansione aziendale che è direttamente collegata alla complessità di gestione delle attività da casa.

Alcuni esempi di livello di complessità delle attività da casa:

  • Commerciale: bassa complessità
  • Marketing: bassa complessità
  • Social Media Manager: bassa complessità
  • Copywriter: media complessità
  • Sviluppatore: media complessità
  • Amministrazione: media complessità
  • Grafico Creativo: alta complessità

Avere ben chiara e suddivisa la nostra popolazione aziendale ci ha aiutato moltissimo a definire fin da subito cosa fosse facile, cosa fosse possibile e cosa fosse troppo complesso da gestire al momento. E ci ha portato ad una ulteriore suddivisione.

I Locals e i Remoti

Il censimento ci ha immediatamente fatto capire che gestire il 100% di noi da remoto sarebbe potuta essere una sfida troppo grande con il poco tempo a disposizione. Non ci è voluto molto a capire che alcuni di noi sarebbero dovuti restare in agenzia per lavorare normalmente e dare supporto agli altri che da casa inevitabilmente avrebbero avuto bisogno. Si sono così creati 2 gruppi, i Locals e i Remoti sulla base delle reali possibilità di organizzazione di ognuno. Ovviamente per fare in modo che l’esercitazione fosse significativa, i Remoti avrebbero dovuto essere la grande maggioranza. E così è stato: indicativamente su 30 colleghi, il 75% di noi era Remoto, il 25% era Local. Vi assicuro, una sfida non semplice da affrontare.

L’architettura dei sistemi informatici

Come detto, partivamo già da una base di infrastrutture discreta, ci mancava giusto qualche licenza software e qualche idea per far funzionare il tutto. Ciò nonostante, anche in questo caso siamo stati lucidi a capire che non era pensabile che tutti i Remoti utilizzassero lo stesso sistema di connessione poiché, anche solo per la natura diversa dei vari lavori da svolgere, alcuni avrebbero dovuto maneggiare file molto grandi e altri file molto piccoli e utilizzare gli stessi sistemi non sarebbe stato efficiente. Ne è conseguito che, secondo l’effettivo lavoro da svolgere, l’architettura si sarebbe suddivisa tra:

  • collegamento diretto VPN (il collega remoto si collega con un portatile aziendale alla rete dell’ufficio)
  • collegamento indiretto tramite Desktop Remoto (il collega remoto si collega con un portatile personale al computer fisicamente rimasto in ufficio)
  • nessuna necessità di collegamento (il collega remoto non ha necessità di collegarsi alla rete dell’ufficio e usa solo software web di collaborazione)
  • difficoltà di collegamento (il collega remoto ha necessità di collegarsi ma i file che deve maneggiare sono troppo pesanti per essere spostati)
  • impossibilità di collegamento (il collega remoto è impossibilitato a collegarsi)

Va da sé che i primi tre sistemi non sarebbero stati problematici (oltre alle normali assistenze tecniche del caso), mentre per gli ultimi due occorrevano soluzioni.

Per aiutare i colleghi con “difficoltà di collegamento” abbiamo usato i colleghi Locals, che dall’ufficio con una connessione veloce spedivano i file grandi a chi ne aveva bisogno; in pratica quando qualcuno da remoto aveva bisogno di qualcosa e non riusciva ad accedervi autonomamente, i Locals facevano da postini. 

Per aiutare invece i colleghi con “impossibilità di collegamento” perché non dotati di connessione a casa, abbiamo fornito alcuni modem 4G e delle care e vecchie chiavette USB, in modo che, in caso di totale impossibilità di connessione, avessero ciò che gli serviva per lavorare già caricato su chiavetta. 

È facile immaginare che la connessione Internet sia la componente più problematica, in realtà non lo è stata così tanto. È ovviamente anche capitato che, durante “l’Esercitazione”, la connessione cadesse miseramente (perché la sfiga è sempre in agguato), ma in pochi minuti tutto si è ristabilito. 

Il giorno prima

Il giorno più brutto. Concentrazione massima: ciascuno di noi doveva annotare e ricordare tutte le procedure, tutte completamente fuori dalla normale routine del lavoro di tutti i giorni. Era importantissimo che nessuno di noi prendesse alla leggera “l’Esercitazione”, poiché le mancanze e gli errori di chiunque di noi si sarebbero ripercosse su tutti gli altri. Si passava da lavorare tutti in un ufficio, a dover lavorare in 30 uffici diversi, contemporaneamente. 

Il D-Day

Il giorno più bello. Dire che abbia funzionato tutto alla perfezione sarebbe una bugia, siamo però stati tutti in grado di lavorare con una buona produttività, magari scomodi, ma tutti sul pezzo. Ogni attività che doveva essere svolta è stata compiuta, il lavoro sui progetti non ha subito rallentamenti e in chat su Skype non è mancato il classico buonumore che accompagna sempre le nostre giornate.

La nuova sfida

Tra due giorni ci si riprova, questa volta con il 90% di Remoti. Tifate per noi!

Corona Working e Smart Virus

Semplice come nella teoria? Assolutamente no. Troppo difficile? Forse. Necessario? Sicuramente sì. In questi giorni complicati e tesi, noi tutti mentre lavoriamo abbiamo in testa il Corona, ma non solo: c’è anche il virus buono dello Smart Working, che sta facendo emergere sintomi diversi, nuovi e positivi per un futuro forse difficile ma più intelligente. 

Ciao!

SF.