Non chiamateli gadget.
Il periodo di tempo che corre tra la fine di agosto e l’inizio di quelle che per tanti sono le vacanze di Natale è un periodo incredibilmente importante in agenzia.
Poco più di tre mesi e mezzo che si aprono con il “ritorno dalle ferie”, neanche il tempo di prenderne coscienza e si è travolti da un avvicendarsi vorticoso di riunioni, deadline che fanno i conti con le tante fiere di settore, progetti precedentemente messi in pausa che diventano urgenti, appuntamenti.
È il periodo in cui pressoché dovunque si ragiona sui budget destinati agli investimenti – anche in comunicazione – per l’anno seguente. È il periodo in cui si consultano i report, ci si guarda alle spalle, si soppesano investimenti e risultati ottenuti. È anche il periodo in cui ci si inizia ad interrogare sulle strategie da attuare in futuro, proprio a partire da quello che si è ottenuto quell’anno. È poi ancora l’ultimo periodo utile per condizionare la chiusura del bilancio annuale, per qualsiasi attività.
Credo che quanto descritto fin qui accomuni un po’ tutte le realtà lavorative, sicuramente tutte le agenzie di comunicazione.
Ma in questo contesto, in questi mesi così febbrili, qui a copiaincolla succede qualcosa di particolare. In questi mesi si inizia a progettare quella che è una delle attività più importanti dell’anno: una campagna tutta particolare, la nostra campagna.
Un concept che nasce tra le scrivanie del team creativo, scivola sul divano rosso dell’ufficio della direzione marketing, serpeggia tra le scrivanie del reparto strategico per poi rimbalzare di nuovo in forma di task ben definiti sui monitor di tutto il “cubo”, l’area dell’agenzia dedicata alle risorse operative.
Chi ancora non avesse avuto il piacere e la fortuna di incapparvi, qui può farsi un’idea di cosa si tratta.
Stiamo parlando di una campagna di direct marketing, quindi?
Una creative house lanciata su progetti digital pluripremiati alle prese con un classico esempio di outbound marketing?
Sono anni che si sente dire che l’outbound marketing è molto costoso, ha metriche difficilmente misurabili… ed è anche un po’ démodé!
Come mai una campagna self-promo che insiste proprio su una delle dinamiche più tradizionali?
Le cose non stanno proprio così.
Le campagne di copiaincolla sono pezzi unici, da collezione: non è un caso se possiamo mostrarvi un esemplare di ogni campagna esposto proprio nella sala principale, ciascuno protetto da una teca.
Sono pensati per finire nelle mani di prospect selezionati con cura, cioè marketing & communication manager di realtà con cui desideriamo entrare in contatto, realtà sulla nostra stessa lunghezza d’onda, per le quali sentiamo di poter fare una differenza.
Le campagne copiaincolla vogliono stupire, divertire, appassionare – e lo fanno raccontando quello che possiamo fare per chi decide di affidarsi a noi, fornendo una dimostrazione tangibile di quelle che sono le nostre skills.
Ed ecco quindi che ci troviamo a dare forma e voce ad iconici character come il Lama e l’Uccellino, sviluppare veri e propri album di figurine che non lasciano dubbi sulla nostra cifra creativa, portare sulle scrivanie veri e propri angoli di prato, dare la possibilità di vincere trofei personalizzati, progettare passeggiate virtuali all’interno della nostra nuova company house.
A ben vedere, ciascuna delle nostre campagne è una vera e propria operazione integrata che prevede tutta una serie di touchpoints anche e soprattutto digitali, che guidano i nostri prospect in un percorso alla scoperta di copiaincolla.
Non chiamateli gadget, insomma.
Ogni oggetto creativo racconta chi siamo, cosa siamo in grado di fare e – soprattutto – come lo facciamo. È importante che tutto questo, su cui investiamo tantissimo tempo e risorse (di ogni tipo), finisca nelle mani dei giusti interlocutori, menzionati poco più su. Così – mentre la campagna è in piena fase di sviluppo – ci si attiva su di un database che viene alimentato durante tutto l’anno precedente: è il momento di verificare i destinatari, fare i check sulle aziende selezionate e attivare tutti quei controlli che faranno sì che la campagna arrivi a destinazione.
Lo sviluppo della campagna è qualcosa che coinvolge tutta l’agenzia non soltanto nella fase di progettazione e sviluppo operativo, ma anche nell’allestimento vero e proprio delle spedizioni, che meritano una menzione a parte: si organizzano turni di lavoro per assemblar gli oggetti creativi e sistemarli nelle box che li accompagneranno nei vari uffici marketing sparsi per l’Italia.
Turni di lavoro a rotazione che rimescolano i team e portano così ad impacchettare gomito a gomito colleghi che non sempre sono abituati a lavorare insieme. E tra una chiacchierata sui nuovi progetti in partenza, l’improvvisazione di un rito propiziatorio per un buon esito della campagna e qualche nuova idea estemporanea, l’occasione di rafforzare i rapporti interpersonali è servita.
Alla luce di tutto questo, possiamo parlare di outbound marketing, quindi?
No, non nella definizione più tradizionale del termine: ciascuna delle nostre campagne è una galassia di contenuti di valore, che intrattengono e allo stesso tempo parlano di noi.
Contenuti che creano engagement, che fanno brand awareness e – allo stesso tempo – generano leads.
Insomma, non voglio sbilanciarmi e dire che copiaincolla in tutti questi anni è l’unica agenzia che ha riscritto le regole del direct marketing, ma sicuramente è l’unica agenzia che ha donato ai suoi prospects e clienti la chiave della sua creatività.