Pop corn e pelle d’oca
Qualche giorno fa
Qualche giorno fa, lavorando con il mio collega Diego, mi è successa una cosa bellissima. Stavamo parlando di film, cercando dei riferimenti che ci rievocassero un’ambientazione specifica per un progetto. E lui ha citato Dogman, il film di Garrone.
E a me, come reazione istantanea a questa sua citazione, è venuta la pelle d’oca.
A me la pelle d’oca viene con la prima schitarrata ad un concerto, quando mangio il gelato al fiordilatte e quando penso ai film che mi sono piaciuti particolarmente.
Chi mi conosce bene sa che ho pochissima memoria e, quella poca memoria che ho, non la dedico alle storie, ma la riservo alle sensazioni. Per farvi un esempio, io dei film non mi ricordo la trama, mi ricordo la sensazione che quel film mi ha lasciato. Ecco perché, non appena il mio collega ha citato Dogman, a me è venuta la pelle d’oca. Non mi ricordo esattamente la trama, o le battute, o le colonne sonore. Ma ricordo perfettamente le sensazioni che mi ha fatto provare. In quel caso, una pelle d’oca fatta di ruvidità, sconfitta e coraggio.
Parole a caso? Forse. Ma per me si meritano la pelle d’oca.
Tutta questa introduzione per dire che a partire da quel dialogo, la mia mente piano piano ha saltellato qua e là, nei meandri della mia pelle d’oca (dire memoria sarebbe un’offesa nei confronti della memoria stessa).
Ho subito capito che forse quello che questa tremenda pandemia mi ha fatto mancare di più è stato il CINEMA. Più dei viaggi, più degli amici, a me è mancata la pelle d’oca da cinema. Ma non l’avevo ancora razionalizzato. L’ho capito in quel momento, grazie a Dogman e a Diego.
Il cinema è sempre stato il mio posto sicuro
Il cinema è sempre stato il mio posto sicuro, fin da piccolissima. Purtroppo, nel paesino in cui vivo non ce n’è nemmeno uno. “Ce n’erano 3 di cinema, una volta!” mi dicono quelli che ai loro tempi saltavano i canali per la lunga. Ma sono almeno 30 anni che non ce n’è nemmeno uno e io, per andare al cinema, ho sempre dovuto fare un sacco di chilometri. Quando a 19 anni mi sono trasferita a Milano, ovviamente i suoi cinema mi hanno conquistato, fin da subito. Così diversi e aperti a sperimentazioni; così di nicchia e variegati che, per una ragazza di campagna come me, hanno rappresentato fin da subito un colpo di fulmine pazzesco: pellicole in lingua originale, film in odorama, proiezioni sui tetti e chi più ne ha più ne metta!
Prima della pandemia
Prima della pandemia andavo al cinema una, anche due volte a settimana.
Andavo a vedere qualsiasi tipo di film, in compagnia ma anche da sola, al pomeriggio ma anche di notte: non ho un genere preferito, io scelgo il film in base al cinema.
Mi rendo conto che è un po’ strano, ma è così.
Il mio cinema preferito purtroppo non esiste più, da qualche anno, ormai.
Si chiamava Apollo. È diventato un Apple Store. Trovo questa assonanza ironica. Mi piaceva perché era un cinema che non se la tirava. Faceva il suo mestiere, nel cuore di Piazzetta Liberty, a Milano. Si sviluppava sotto terra e a me piaceva pensare di essere nella pancia della città. Proponeva film per tutti ma anche di nicchia e, soprattutto, faceva proiezioni anche molto tardi. Non era eccezionalmente bello. Ma era il mio preferito.
L’altro mio cinema preferito non è un cinema, ma è una sala: la sala 8 dello Space City di via Rodegonda, all’ombra del Duomo, sempre a Milano. La sala 8 mi piace perché tutti la criticano, mentre per me è affascinante: lunga, sembra il corridoio di una casa, poche file, poche poltrone, uno schermo non tanto grande. Perfetta per horror e docufilm. L’ho amata alla follia. Pelle d’oca assicurata. Qualche tempo fa mi è capitata sotto gli occhi la notizia che alcune sale dello Space City verranno chiuse e trasformate in un centro commerciale. Non ho voluto approfondire per non rimanerci troppo male. Io auguro lunga vita alla “mia” sala 8.
Al cinema ho vissuto esperienze ed emozioni
Al cinema ho vissuto esperienze ed emozioni davvero molto speciali.Ne ricordo alcune più di altre. Mi ricordo quella sera in cui ero su un tram, preso totalmente a caso perché la metro era invasa dai tifosi-di-non-so-che-squadra-per-non-so-quale-partita. Improvvisamente mi sono trovata circondata da persone che indossavano la maglietta dei Nirvana: io ero effettivamente una delle poche, se non l’unica, che non aveva qualche simbolo che celebrasse la band. Arrivati alla fermata Duomo, tutte queste persone sono scese dal tram, insieme. Che cosa potevo fare? Sarei potuta andare a casa, ascoltando i Nirvana su Spotify (ormai mi era venuta una voglia matta di ripescare la playlist) oppure avrei potuto seguire quelle persone per capire dove erano dirette. In un attimo sono saltata fuori dal tram, ho messo la playlist in cuffia (perché non ho resistito) e ho iniziato l’inseguimento di quel gruppo di persone, nel mezzo del formicaio di gente delle 19.30 pre-Covid. Mi sono poi accorta che la folla non era una folla qualsiasi: erano tutti fan dei Nirvana e andavano tutti nella stessa direzione. Stavano andando al cinema. Mi sono ovviamente messa in fila anche io, una fila lunghissima, piena di gente elettrizzata dalla felicità e ho iniziato a cercare online il biglietto per poter entrare e vedere “Cobain, montage of heck”. Era quello il film che il destino aveva in serbo per me. Una sola proiezione, in anteprima, in lingua originale, SOLD OUT da mesi. Ma non c’è sold out che mi possa fermare. Non c’è mai stato!
Mi sono armata del mio miglior sorriso e arrivata alla cassa ho attuato la strategia dello sfinimento. Il cassiere infatti, pur di liberarsi di me e far scorrere la fila, mi ha fatto pagare e mi ha detto: “Entra, mettiti in un angolo, aspetta che inizi e se c’è un posto libero ti siedi lì. Se non c’è un posto libero, invece, stai in piedi, in quell’angolo, senza farti vedere, senza fiatare”.
Ovvio che al cinema non si fiata. Io sto in religioso silenzio, sempre. Con chi crede di avere a che fare?
Il film inizia, parte subito l’applauso. Ci sono due posti liberi. Esterni. Fantastici! Era proprio destino. Aspetto un po’ e mi vado a sedere. Al mio fianco, poi, si viene a sedere il cassiere. Aveva finito il turno. C’è stato uno sguardo d’intesa, ma nemmeno un fiato, ovvio. Documentario bellissimo. Pelle d’oca verso la fine. Cosa mi ha insegnato questa esperienza? Che seguire le persone con le magliette belle premia sempre!
Un’altra avventura cinematografica
Un’altra avventura cinematografica l’ho vissuta ad un’anteprima. Era per “Lo chiamavano Jeeg Robot”. Avevo il biglietto questa volta. Era tutto programmato. La raccomandazione del mio coinquilino, quando mi ha consegnato il biglietto, è stata: “Vero non fare tardi. Se arrivi tardi ti lasciano fuori. È un’anteprima. È una cosa seria”. Ovviamente io sono arrivata in ritardo, tutta spettinata e bagnata fradicia perché c’era un grosso temporale e io avevo perso l’ombrello. Quindi, ancora una volta, sarei stata davvero fuori luogo e avrei dovuto applicare la strategia dello sfinimento con il personale del cinema per poter entrare. Questa strategia, comunque, funziona sempre!
Entro in religioso silenzio, le luci si sono appena abbassate, intravedo il mio coinquilino. Lo raggiungo e mi siedo. Sono in una fila composta da quattro poltrone. Lui si alza e mi fa sedere verso l’interno. Il film inizia. Un film bellissimo. Anche qui, pelle d’oca, fin dall’inizio. E, per la prima volta nella mia vita, faccio un’eccezione al religioso silenzio: c’è una scena in cui si vede il lato B del protagonista e io non riesco a resistere. Davanti a quel belvedere, mi faccio scappare un’affermazione sotto voce: “mamma mia, che bel cu*o!”. Che frase regale, quanta eleganza sua maestà Veronica.
Il film finisce. Le luci si accendono. Il pubblico si alza in piedi, si volta nella mia direzione e applaude. Io non capisco il perché di quell’applauso verso di me ma ci metto poco a realizzare che, se da un lato c’era il mio coinquilino, dall’altro lato c’era l’attore protagonista. Quello con il bel cu*o! L’applauso, ovviamente, era rivolto a lui. Un applauso meritatissimo. Non si meritava certamente la mia frase regale, davanti alla sua scena di nudo. Anche lì, pelle d’oca.
Cosa mi ha insegnato questa esperienza? Che non si deve mai commentare (ma proprio mai) i fondoschiena altrui!
Avrei mille altre avventure da raccontare: tutti momenti bellissimi e contraddistinti da pelle d’oca.
Devo ammettere che nonostante le riaperture io non ho ancora avuto il coraggio di tornare al cinema. Lo voglio fare con calma, prendendomi i miei tempi e soprattutto scegliendo il cinema giusto. Per me è una cosa troppo intima. Non posso farmi guidare solo dal desiderio istintivo di tornare in sala.
Voglio ponderare bene tutte le variabili: la sala, il posto (ovviamente terzultima fila, poltrona centrale), poter mangiare i pop corn senza il pensiero della mascherina e godermi i miei rituali e le mie emozioni. Non importa il film. Non importa la storia. Importa solo la pelle d’oca.