Ogni mattina, a Villastrada, quando sorge il sole, una Valeria si sveglia e sa che dovrà scorrere la bacheca più veloce del leone da tastiera o leggerà un suo stato.

Come diceva sempre la mia prof di Latino, verba volant scripta manent. Purtroppo, in alcuni casi sarebbe meglio attenersi al volant.
Uno di questi casi è Facebook.

Non so se quel mattacchione di Darwin ci abbia visto bene riguardo alla sopravvivenza fisica sul pianeta, ma sono certa che Facebook sia la prova concreta concretissima e schiacciante schiacciantissima che aveva ragione almeno su una cosa: con la selezione naturale vengono eliminati gli individui più deboli, cioè quelli che, per le loro caratteristiche, sono meno adatti a sopravvivere a determinate condizioni ambientali.

Tranqui, fine dei riferimenti scientifici-filosofici-savasoni.

Ma mi serviva per farvi capire che Facebook è un ambiente. Un ambiente in cui nevica, splende il sole e tempesta, anche se virtualmente.

E noi siamo quelli che ci si adattano, o che almeno ci provano.
Ci siamo adattati ai commenti a caldo dei vari leoni nel mondo, sconosciuti che si attaccano e che si insultano e che si odiano urtando la sensibilità di altri utenti e l’insensibilità di altri leoni (perché sì, la Costituzione garantisce libertà di espressione anche agli stronzi).
Ci siamo adattati a subire un’overdose giornaliera di flussi di informazioni vere-false-felici-tristi-utili-inutili-belle-brutte-etcetera-etcetera.
Ci siamo adattati a combattimenti che Yoshimitsu spostati tra carnivori e vegani, razzisti e sessisti, crudisti e tronisti.

  

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Io, però, non mi sono ancora adattata ai colpi di scena sulle persone che conosco per davvero. Non quei leoni sconosciuti che sembrano essere lontani come gli uragani tropicali del Centro America; parlo di quelle persone che conosco nella vita reale – o che credevo di conoscere – almeno un pochino. 

Perché Facebook crea rapporti sociali tra individui che non si conoscono e modifica anche quelli già esistenti di chi ha già stretto amicizia senza di lui.

Il grado di conoscenza è relativo. Capita con i nostri amici più cari, quelli con cui il venerdì prendiamo l’aperitivo, quelli a cui chiediamo consiglio, quelli che inviteremmo al nostro matrimonio. Quelli che poi, sui social, sembrano essere improvvisamente affetti dalla sindrome della doppia, tripla, quadrupla personalità e ci fanno diventare un estemporaneo Telefono Azzurro per adulti (quante volte vi è capitato di maledirli?).

Capita con quelle persone che abbiamo sempre ritenuto simpatiche e brillanti nei più vari contesti mondani e che si bruciano al primo stato o commento in merito a un argomento “serio”.

Capita anche con personaggi più o meno pubblici che innalzano le loro bandiere economico-politiche guadagnando e perdendo stima in continuazione per colpa di opinioni di parte che spesso non dovrebbero nemmeno dire o in ogni caso farebbero meglio ad evitare. I paparazzi potrebbero anche andare in pensione, perché ormai sono tutti bravissimi a farsi autogol anche senza di loro (eppure le call to action “Pubblica” e “Condividi” sono due verbi piuttosto esplicativi dell’azione che si va a compiere).

Capita quando lo scemo del paese si iscrive a Facebook e quello che prima diceva a tre persone al bar dopo tre aperitivi, ora lo racconta a trenta milioni di italiani connessi. La maggior parte delle volte è ignaro di aver usato quello spazio per esprimere un’opinione davanti a cotante persone (bellissimo cotante!) perché ignaro dei meccanismi della giungla social, meccanismi a cui chi fa il mio mestiere non può e non deve sottrarsi. Anche se, purtroppo, anche uffici marketing, aziende e commercianti si dimenticano di questi meccanismi.

Terremoto Centro Italia 30 ottobre 2016

Capita quando salutiamo con più o meno enfasi persone che incontriamo per strada, ricordandoci di cosa, quando e perché hanno pubblicato su Facebook. Capita anche che potenziali coppie saltino ancora prima di conoscersi dopo la semplice valutazione del profilo dell’altro.

Perché il punto è questo, il nostro profilo Facebook è il nostro nuovo Curriculum Vitae – che non per niente si chiama “vitae”. Se non per il lavoro, per il tempo libero. Che forse è anche peggio.

Chi, dopo una serie di scatti amatoriali culinari, non ha mai ironizzato “Cracco de’ noantri, ma te lo mangi quel piatto o vengo io?!“? Chi, dopo l’ennesima catena di Sant’Antonio ricevuta dalla zia, non ha pensato “mobbbasta adesso la elimino!“? Chi, dopo una serie di video in bacheca, non ha mai detto “Qui o gli faccio un CD o disattivo le notifiche“?

Perché se i libri si giudicano dalle copertine, le persone si giudicano dalle bacheche.

E le aziende dalle loro pagine.

E tutti questi piccoli nostri giudizi e pensieri ci portano giorno per giorno a crearci un’immagine ben precisa di tutte queste cose e di tutte queste persone che prima vedevamo solo il venerdì sera a ballare o la domenica al baretto e che adesso “vediamo” ogni giorno, ad ogni ora, anche se non siamo nello stesso luogo. Perché Facebook è l’ambiente di ritrovo in cui siamo sempre presenti, rintracciabili, disponibili, anche se fingiamo di non esserlo.

Facebook è il luogo in cui un qualsiasi neofidanzato scopre in due scrollate quello che dell’altra persona scoprirebbe in almeno tre cene a lume di candela, quattro cinema e pop corn, otto discussioni su mare o montagna (siamo sicuri di voler saltare questa parte?). Facebook è il luogo in cui vediamo over 50 mettere un like alle under 18 del proprio paese e saltiamo subito a conclusioni che nessuno avrebbe diritto di concludere senza ulteriori e accurate informazioni (amici di famiglia? Parenti? Conoscenti?). Ma chissene, la giungla social is coming. Mowgli, scappa!

Chiedo scusa alle mie colleghe nazigrafiche, sono solo una povera copywriter!

No, l’articolo non è ancora finito. Ma quasi, resisti!

Facebook è il luogo da cui dipende la nascita o la non nascita, la crescita o non la non crescita, la morte o la non morte di moltissime relazioni di moltissimi tipi. E se siamo consapevoli che è in grado di farci cambiare l’idea che abbiamo sempre avuto di qualcuno e di farlo con un paio di stati, capiamo anche che quel paio di stati possono essere molto di più.

Tutto, su Facebook, è molto di più. E tutto è molto più veloce. Non diamo tempo a una persona di farsi conoscere, ci basta valutare una singola azione per condannarla alla ghigliottina. Basta un solo stato che, anche se eliminato, manent. Nella testa di chi ha letto e ha già giudicato.

Perché a noi piace giudicare. E adesso ci hanno dato un giochino con cui possiamo farlo molto più facilmente e molto di più. Possiamo giudicare com’era vestita sabato la nuova morosa del nostro ex anche se noi sabato eravamo da tutt’altra parte. Possiamo decidere di ignorare una persona a cui magari avremmo concesso almeno la compagnia di un caffè, perché tra le varie cose che abbiamo letto, ce n’è una che proprio non ci è andata giù. Possiamo addirittura permetterci di sembrare chi di fatto NON siamo ed essere anche convincenti. Possiamo targetizzare i nostri post a nostro piacimento per instaurare e distruggere relazioni coi nostri amici.

Ecco perché dire che Facebook è un social d’intrattenimento è vero fino a metà. Può essere anche il social del non-intrattenimento. Ecco perché se prima ci insegnavano ad accendere il cervello prima di parlare, adesso dobbiamo stare più attenti a farlo prima di scrivere (ma i professori di latino hanno sempre ragione?!).

Bisogna essere consapevoli che le parole che utilizziamo sono armi a doppio taglio, che magari per noi possono sembrare innocue per noi, ma per qualcun altro no.

Che poi come si fa a fare gli omofobi con Valerio Scanu sul pandoro?!

E allo stesso modo dovremmo essere più attenti a quello che leggiamo. Perché può sembrare banale dirlo e può sembrare impossibile non farlo, ma siamo sicuri di volere – e sapere – giudicare un curriculum senza offrire la possibilità di un colloquio?

Tranne se uno pubblica questo, allora un colloquio proprio non se lo merita 😉