Non sapevo di essere creativa, né che bastasse allenarsi per esserlo
Non mi sono mai considerata una persona particolarmente creativa, pur essendo particolarmente sensibile alla creatività altrui. Divoratrice seriale di libri, da sempre sono appassionata di arti figurative e mi è difficile immaginare una vita senza musica.
I miei disegni sono però sempre state “copie dal vero”, mentre per quanto riguarda la scrittura, pur partendo sempre piena di buoni propositi, non sono mai riuscita a dare forma ad un intreccio che mi piacesse. Di musica non ne parliamo, mi mancano le basi.
Sono sempre stata dell’idea che la tecnica fosse qualcosa che si poteva imparare da zero a qualunque età, con il giusto impegno e i giusti insegnanti.
Ma la creatività, quella no. Quella l’ho sempre vista come una caratteristica ereditaria, come gli occhi azzurri o le lentiggini.
La creatività – ho sempre pensato – non si impara, o ce l’hai o non ce l’hai.
Ho sempre dato molto credito a quella teoria piuttosto fumosa secondo la quale abbiamo un emisfero cerebrale più pragmatico ed analitico, mentre nell’altro avrebbero sede funzionalità che hanno a che fare con la non-verbalità, la vivacità, la creatività appunto. In base a quale delle due aree prevale sull’altra, un individuo nasce tagliato per certi ruoli anziché altri.
Qui in agenzia gestisco il backoffice del processo commerciale ed ho sempre guardato ai colleghi del team creativo con religiosa ammirazione, quasi fossero unici depositari di una scienza infusa.
Mi sbagliavo.
Da quando sono entrata a far parte della squadra copiaincolla, mi succedono cose strane.
Ho iniziato a fare giochi di parole con i nomi dei prodotti che sento pubblicizzare alla radio, faccio molto più caso alle pubblicità in televisione o sui giornali e al modo in cui sembrano volermi raccontare qualcosa (alcune ci riescono, altre no). Addirittura mi fermo tra le corsie del supermercato a guardare con occhio critico le confezioni dei prodotti e a immaginare come si potrebbero migliorare.
Brainstorming, spunti di riflessione condivisi in chat o davanti al microonde in pausa pranzo, le campagne che quotidianamente elaboriamo per i nostri clienti, le strategie per comunicare e comunicarci. Ore e ore di esposizione attiva all’esercizio dello storytelling at its best che inevitabilmente hanno sbloccato un ingranaggio che neanche immaginavo di avere.
Ed è così che ho capito che la creatività è un’abilità che possiamo allenare.
Proprio come la velocità nella corsa: c’è chi nasce più predisposto di altri, ma è l’esercizio quotidiano che finisce per fare la differenza.
Lavorare gomito a gomito con i colleghi creativi per definizione ha cambiato il modo in cui guardo alle cose. Proprio questa è la chiave: non tanto andare alla ricerca di qualcosa che stupisca ad ogni costo, ma piuttosto lasciarsi prendere dallo stupore di un nuovo punto di vista.
La creatività – ci ha spiegato con semplicità disarmante Diego, Head of Content qui a copiaincolla – è guardare le cose di sempre con gli occhi di mai.
Facile, vero?
In effetti non lo è proprio per nulla, perché se è difficile scacciare una cattiva abitudine, lo è ancora di più farne propria una buona. E qui è proprio l’allenamento a fare il miracolo. Imporsi un atteggiamento curioso verso gli stimoli del mondo esterno, che in agenzia arrivano sotto forma di confronto diretto con i colleghi e con i clienti, ma anche con l’attenzione a quello che succede attorno a noi, in Italia e nel mondo, in quello che è il nostro mercato di riferimento.
Può bastare? Assolutamente no. Senza le suggestioni che arrivano dai libri e dal cinema, dal teatro e dalla musica, dai videogames e dai viaggi (e dal cibo, fondamentale!) qua saremmo finiti.
Proprio come accade nella corsa, c’è sempre la possibilità di fare un tempo migliore: l’allenamento, così come la raccolta di stimoli, non deve fermarsi mai.
Insomma, pare proprio che vivere immersi in un ambiente che produce e allo stesso tempo consuma creatività, possa stimolarne lo sviluppo anche in quei soggetti che se ne ritenevano immuni.
Una sorta di fotosintesi clorofilliana a base di storie da raccontare con parole e con immagini.