Questo articolo è pieno di paranoie futuristiche, non leggetelo.

Siamo talmente abituati a sentire questa domanda rivolta a noi, che viene quasi da ignorare quella piccola parola nel titolo:

 web 

Credo che, in questo preciso momento storico, le grandi domande dell’umanità non siano più le stesse di sempre. Non ci chiediamo più “chi siamo?”, “da dove veniamo?”, “qual è il nostro scopo?”; al loro posto viene sempre più spesso da chiedersi “cosa ci riserverà il futuro?”.

Complice lo sviluppo tecnologico degli ultimi anni, siamo tutti un po’ cambiati. Persino i miei genitori, persone che fino a una decade fa sostenevano che “un telefono serve a telefonare, non a fare foto”, hanno cambiato opinione e ogni 2 per 3 hanno bisogno di sistemare qualcosa sul loro smartphone.

Tra qualche anno, quando le generazioni più anziane ci abbandoneranno, avremo la strada spianata per integrare nella nostra vita soluzioni all’avanguardia tecnologica che ci facciano risparmiare tempo e denaro.

Voglio proprio vedere se a quel punto Aranzulla farà ancora il simpatico.

Tuttavia, ho come la sensazione che il progresso stia rallentando. Viene rilasciata una nuova app ogni minuto, viene aggiunto un giga in più al cellulare più potente ogni anno e nuovi servizi crescono come funghi… ma per me non ci siamo.

Nonostante tutto, mi sembra di trovarmi improvvisamente in una bonaccia, poco dopo essere uscito da una tempesta.

Per la prima volta mi sono chiesto: web, non è che sei già diventato grande?

Un po’ come un genitore che vede sempre il figlio come il suo bambino, mi fa strano trovarmi in questa situazione.

Ora i più nerd/tecnofili/rompiscatole mi daranno dallo scemo, diranno che Google ha appena rilasciato l’ultimo aggiornamento all’intelligenza artificiale, che in tutto il mondo i robot cominciano a essere una realtà sempre più presente, ma io sono un po’ Tommaso e non ci credo finché non ci ficco il naso.

E, ahimè, il naso ce l’ho ficcato e ho pensato che quando chiedo al web se è diventato grande in realtà lo sto chiedendo a me stesso e contemporaneamente ad altri milioni di persone, perché il web e la tecnologia in genere (ormai le due cose sono talmente in simbiosi che mi sembra stupido separarle) non sono altro che il frutto di quello che tutti noi facciamo ogni giorno: da quando accendiamo lo schermo dello smartphone appena svegli a quando lo spegniamo prima di andare a letto.

Non a caso, si parla sempre più spesso di Machine Learning, algoritmi di auto-apprendimento che ogni istante analizzano milioni di dati raccolti da quello che facciamo ogni giorno sul web e non solo.

Siamo ormai talmente in simbiosi con la tecnologia che possiamo considerare il Test di Turing superato, se non obsoleto. Siamo noi la macchina. Non ci rendiamo conto se dietro a un’inserzione ci sia un gruppo di persone o un algoritmo di remarketing.

Trascendence insomma.

 

La bonaccia di cui mi sento parte non è altro che il frutto di una società vecchia come la nostra, che tenta di ingabbiare lo sviluppo tecnologico, anziché renderlo parte di sé (ma che ne sanno i duem…. no, i vecchi che hanno fatto il GDPR).

L’unica soluzione è mettersi in gioco.

Un po’ come tornare bambini, cambiando le nostre abitudini e accettando di essere noi stessi meno umani e più macchine. Se tanto mi dà tanto, allora anche gli algoritmi eleveranno a potenza il nostro comportamento, proiettandoci verso un vero mutamento.

Spero di assistere a questo cambiamento e vedere come muteranno specialmente le nostre professioni legate alla comunicazione. Se esisteranno ancora figure come influencer (o desperados che raccattano soldi facendo gli scemi) o se noi stessi saremo tutti influencer (Brunella forse l’aveva già capito).

Magari in un futuro non esisteranno più nemmeno i siti web, probabilmente ci sarà un sistema alternativo per reperire informazioni. Fino ad allora rimango uno sviluppatore, non riparo PC.

 

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