Brunella, 1 ora prima dell’arresto (se non escono almeno altre 10 stagioni di Mare Fuori)
Se solo questo articolo potesse emettere un suono sarebbe senza dubbio una colonna sonora. Quella della serie TV Mare fuori. Perché ti entra talmente dentro come musica e parole che è difficile poi farla uscire.
Ecco, solo perché ci sto pensando, la sto cantando tra me e me in napoletano.
Ho addirittura cercato chi canta le varie canzoni e le ho inserite nella mia playlist perché sentivo il bisogno di ascoltarle anche quando non guardavo gli episodi.
Ho voglia di raccontare come sono stata catturata fin dal primo episodio dalla serie TV “Mare fuori” consumando le stagioni praticamente in poco più di un weekend. All’inizio ero un po’ scettica, leggendo la trama avevo avuto l’impressione potesse essere una brutta copia di Gomorra. E invece no.
Tutto è ambientato all’interno di un carcere minorile di Napoli. La location scelta è qualcosa di meraviglioso: una completa vista sul mare napoletano che sia di giorno e di notte cattura con i suoi riflessi la mente dello spettatore ma anche degli attori protagonisti.
Il titolo della serie è proprio ciò che ti ritrovi a vedere dalle sbarre del carcere.
Vengono raccontate le storie di ognuno dei carcerati, sia all’interno delle giornate da rinchiusi e sia con dei salti nel passato, che raccontano il quando, il come e il perché dell’arresto dei protagonisti.
Questi salti all’indietro, alternati al normale passare del tempo nel presente, creano un susseguirsi di emozioni e di avvicinamento dello spettatore a ogni singolo protagonista.
Mi è capitato, dopo aver terminato di guardare le stagioni, di immaginare di camminare e mentre incontravo delle persone di veder comparire, come nella serie, la didascalia che fa riferimento ai flashback che raccontano il momento in cui i personaggi sono stati arrestati.
Sono storie autentiche, ispirate a un’esperienza personale dell’ideatrice Cristiana Farina. Raccontate attraverso una sceneggiatura e una fotografia che ti catturano e ti coinvolgono e ti rendono parte attiva del racconto con emozioni quasi viscerali.
Vite di ragazzini e ragazzine stravolte dal mix di sbarre, minacce, assassini, morti.
Gli ultimi minuti dell’ultimo episodio andato in onda sono stati da me vissuti come quando centellini quella cosa che stai mangiando che ti piace tanto ma che vedi che sta per finire ma che non vuoi che finisca e allora la assapori fino all’ultimo e poi respiri forte perché è finita per davvero e non sai più come fare.
Nessun’altra serie fino ad ora ha avuto su di me questa calamita.
Anche per il casting degli attori è stato fatto un lavoro incredibile: ognuno perfetto per il proprio ruolo, tutti eccezionali, tutti con un crescendo narrativo dei personaggi interpretati che lascia estasiati. Persino Carolina Crescentini, che da un mio primo umilissimo pregiudizio poteva non essere adeguata per impersonare la Direttrice del carcere, è invece meravigliosa in quel ruolo, soprattutto perché recita come se fosse zoppa con il bastone, cose che sicuramente a volte possono sembrare forzate. Ma con lei no.
Le canzoni sono talmente protagoniste della serie che alcuni attori sono nella vita cantanti, come Clara Soccini (che interpreta Crazy J) o Matteo Paolillo (in Mare Fuori Edoardo Conte, in arte Icaro) che è anche una delle voci della sigla ‘O mar for.
I personaggi così diversi tra loro seppur accomunati trasformano la colonna sonora in un mix di impronte classiche suonate al pianoforte, suoni pop, testi rap, oltre al sound napoletano che la fa da padrone ma che è musicato intorno ai personaggi. La canzone è un vero e proprio linguaggio nella serie.
Corale è la parola chiave di questa serie.
Nonostante i pubblici differenti, la serie andata in onda su Rai Due e distribuita su Rai Play con numeri da record è passata in testa anche a tutte le produzioni Original Netflix uscite nello stesso periodo, giocandosela addirittura con Strappare lungo i bordi di Zerocalcare. Un circolo virtuoso tra Rai e Netflix attorno a un contenuto di qualità. Un lavoro corale, quindi, esattamente come la rappresentazione dei personaggi della serie, esattamente come le musiche.
Per lavoro mi è capitato diverse volte di stare su un set, di assistere alle riprese di spot per clienti o per noi. Dinamiche quindi come scelta del casting, scelta del direttore della fotografia e del regista, progetti di scenografia, identificazione di location, costumi degli attori e dettagli che a ogni inquadratura devono essere sempre in linea con l’inquadratura precedente. Sono cose che conosco molto bene. Che so riconoscere avendone fatto parte in maniera attiva. Per questo il mio giudizio su questa serie va al di là del ruolo di spettatrice normale.
In un mondo pubblicitario che cambia e si evolve ogni minuto lo storytelling, il raccontare storie, è sempre di più un’arma vincente rispetto alle vecchie “réclame” solo prodotto-centriche, solo vetrina, senza quella parte emozionale che scalda le immagini dello schermo.
Nei mesi in cui piano piano scrivevo questo articolo è uscita la terza stagione. Inutile dire che l’ho bruciata in un solo weekend. Altre emozioni forti, altre storie struggenti, passionali, ingaggianti. Ancora una volta storie vere raccontate con una narrazione e un evolversi delle vicende con ritmi, musiche e colori che ti risucchiano e ti avvolgono.
Ancora una volta quei ragazzi, quella colonna sonora e quel mare ti trascinano in un tornado e poi ti sputano fuori quando la stagione finisce.
E tu (io) resti lì ad aspettare la prossima. Quasi in apnea.
Se ancora siete tra i pochi a non aver visto Mare Fuori, guardatela.
Non so se si è capito che ve la consiglio.
E poi ditemi se ho fatto bene a consigliarvela.
Brunella, 1 ora prima dell’arresto