Sedere basso
E che pubblico contenuti a tema Covid-19.
Ho pensato a lungo a come alleggerire l’atmosfera nel consueto appuntamento del venerdì con Tavolobrain.
Che alla fine i vostri clic sul post sono clic sulla fiducia.
E mi spiacerebbe approfittarmi del vostro tempo.
Davvero, grazie della fiducia.
Tavolobrain nasce come un luogo libero, in cui condividere idee, spunti, riflessioni. Volevo fare una digressione per dargli un po’ di respiro, per coccolarlo un po’, il nostro cucciolo di blog, contagiato dal virus o dai suoi effetti come tutti noi. Privato della sua libertà.
Mi sono ripromessa che quando sarebbe toccato a me avrei parlato di tutto tranne che di coronavirus.
Ho buttato giù una recensione di un libro di Dostoevskij (che ho letto in quarantena).
Poi un elogio ad un episodio di Masha e Orso (che ho guardato sempre in quarantena).
Mi sono un attimo fissata con la Russia (in quarantena).
Mi ero ripromessa di parlare di tutt’altro. Anche del mio sedere basso, se fosse stato utile a cambiare argomento.
Vorrei parlare d’altro. Ma non ci riesco. Forse non si può.
Un po’ perché tutto quel che penso mi riconduce a un “momento covid”.
Un po’ perché pensandoci ho capito che Tavolobrain oggi non può più essere un blog. Tavolobrain oggi deve essere un archivio.
È di fondamentale importanza documentare tutto questo.
Molti di noi lo stanno già facendo, più o meno consapevolmente.
Con un diario, con la fotografia postata di una bella famiglia – viva – a casa, al sicuro.
Può sembrare futile, può sembrare stupido.
Io non credo sia stupido.
Durante altre pandemie sono stati dipinti i quadri che oggi sono nei musei.
Dalle peggiori guerre sono nati i migliori sonetti.
Meravigliose, strazianti, drammatiche poesie che non sarebbero mai potute essere scritte in un’altra epoca o in un altro momento.
Pensieri.
Pensieri scritti non solo da chi la guerra l’ha vissuta in prima linea.
Pensieri divenuti i più profondi scambi epistolari del Novecento.
Dai massacri, dalle ingiustizie, dalle discriminazioni, sono nate le azioni più rivoluzionarie che l’uomo abbia mai visto.
Combattere la morte con la vita.
Trasformare il tempo in storia. E in storie.
È una delle cose che vorrei fare.
Non importa se non sono Ungaretti.
Neanche Ungaretti era Ungaretti durante la Grande Guerra.
E Manzoni non sarebbe stato Manzoni se nessuno prima di lui avesse impresso nero su bianco documenti d’archivio e cronache dell’epoca.
E io non voglio diventare né Ungaretti né Manzoni. Voglio raccontare.
Perché è fondamentale farlo. Anche se può non sembrarlo oggi.
Post, diari, canzoni, quadri. Opere. Documenti.
Sono tutti documenti. E sono i nostri.
Il tizio col Volvo che ha ricominciato a sorpassarmi tutte le mattine per strada dopo il lockdown è un documento.
Noi stessi siamo documenti viventi.
Dobbiamo raccontarci perché diventi eterno quello che abbiamo visto, quello che abbiamo pensato, quanto ci siamo cagati addosso.
Quanto lo stiamo ancora facendo.
A febbraio ridevamo. Poi piangevamo.
Anche se non gliene frega niente a nessuno del mio giardino.
Senza scrivere del mio divano, che prima era la mia Spal e poi è diventato il mio Barcellona.
Del furgoncino della lavanderia ambulante promosso a sveglia del sabato mattina.
Della casa mai costruita vicino ai campi.
I fili elettrici. Le nonne, le mamme, le scarpe bianche.
Non ricordavo più quel posto.
La nonna della mia amica è morta, di coronavirus.
Ho visto anche la vita.
Tre meravigliosi gattini dagli occhi blu.
Ho guardato due rondini fare un nido.
E cagare sul vetro della mia auto.
La mia amica mi ha fatto pensare a un’altra amica.
Ha fatto bene, nessuno ti chiede da anni come stai.
Ora tutti a chiederti come stai.
Ho pensato al mio ex. Volevo chiamarlo, poi ho messo giù.
Per lo stesso motivo.
Ho scoperto che mi piacciono le melanzane.
Non le avevo mai mangiate perché a me la parola melanzane non piace.
Ho respirato diversamente l’aria di una sera di giugno dopo 8 ore di mascherina.
Il cambio d’aria.
Per alcuni è un’aria diversa. Per altri non è più nemmeno aria.
È la prima volta per tutti. E per alcuni è anche l’ultima.
Qualcosa ho già scritto.
Sulle nostre cose di prima necessità.
Ho scritto sulle cose inutili che poi ci sono sembrate utili e sulle cose utili che poi ci sono sembrate inutili.
Quando ci sottraggono delle cose è essenziale che anche noi togliamo tempo alle cose inutili e ci impegniamo a riprenderci quelle utili.
Voglio scrivere ancora. Di come questo sia un virus che ci toglie le cose.
Tipo le tette sode e il sedere alto.
Mara Saccani
4 anni agoTesto fantastico, profondo, filosofico, divertente, storico, realistico e romantico