Sono un copywriter.
Sono anche un social media manager.
Sono anche un social media manager di brand che promuovono prodotti pensati e rivolti alle donne.

Se questa fosse una storie triste l’articolo potrebbe chiudersi qui. Ma questa non è una storia triste.

E allora ve la voglio raccontare.

Come detto, tra le mansioni che svolgo ogni giorno a copiaincolla, c’è la moderazione delle diverse fanpage affidate dai clienti dell’agenzia e che, da bravo Social Media Manager quale sono, custodisco quasi come fossero preziose figurine dei calciatori Panini (voi non sapete quanto sia importante per me la figurina di Gabriel Omar Batistuta di USA ’94).

Sì perché, ad un certo punto, noi SMM diventiamo gelosi delle nostre fanpage e delle community che dobbiamo gestire, a tal punto che facciamo fatica a cederne la gestione a qualcun altro, anche se si tratta del nostro collega più fidato. Nonostante i numerosi problemi e le mille polemiche che dobbiamo affrontare ogni giorno, non riusciamo a delegare il nostro compito di voce presente e rassicurante che svolgiamo ogni giorno e vogliamo essere NOI stessi a risolvere i problemi che attanagliano i nostri utenti tra tante imprecazioni, tastiere che si consumano sotto i colpi intermittenti delle nostre dita e qualche risata per allentare la tensione (notate il sovente utilizzo della prima persona plurale).

Fino a qui tutto bene. Non c’è nulla di strano, è il lavoro che ho scelto e la pazienza certo non mi manca.

Ma c’è un piccolo particolare: la maggior parte delle fanpage e profili social che gestisco hanno un pubblico composto quasi interamente da donne (le proporzioni variano da un onesto 90 a 10 fino a toccare punte del 98%, praticamente quasi il totale). Tra le community che quotidianamente devo moderare ci sono quelle di brand di cosmetici, creme emollienti, integratori e rimedi naturali, prodotti per neonati, community il cui audience principale è ovviamente il pubblico femminile.

“Ma chi te lo fa fare?”
“Io non riuscirei”
“Ma come fai?”

sono le domande che altrettanto quotidianamente mi vengono rivolte.

La verità è che è più semplice del previsto. Servono solamente sensibilità e un po’ di empatia, caratteristiche che dovrebbero essere comuni a tutti coloro che svolgono il ruolo di SMM o di community manager, e non solamente a chi è chiamato a gestire community a prevalenza femminile.

La verità è che su questo mondo ho imparato tanto. Alcuni giorni fa ho capito che le “doppie punte” esistono davvero e non sono solamente una leggenda metropolitana inventata da chi, con i capelli, lavora tutti i giorni.

Un pomeriggio mi sono trovato a disquisire con alcune utenti sull’importanza del pavimento pelvico nelle donne (argomento sul quale ancora si preferisce tenere un certo riserbo, forse perché troppo intimo) o a dare consigli su come utilizzare determinate creme e prodotti in fase di allattamento.

A volte, dopo aver passato la giornata a fornire importanti consigli per la “carbonara perfetta”, arrivo a casa e mi auto-consiglio la ricetta da cucinare.

In altre situazioni, emotivamente più difficili, ho dovuto rassicurare persone in preda a crisi di nervi o di ansia.

Sono bastate poche parole, comunicate nel modo giusto, per calmarle e mostrare loro la situazione da un altro punto di vista.

Molto spesso, capita che le utenti si rivolgano a me (al brand) utilizzando il femminile, come fossero sicure che dall’altra parte delle schermo sia presente una persona del loro stesso sesso, che possa capirle ed affrontare insieme anche le domande più intime.

Nota Bene: gli eventi qui descritti si riferiscono a conversazioni realmente avvenute ma i nomi utilizzati derivano dalla nostra fantasia (ad eccezione del mio)

Questa è la prova che stiamo svolgendo bene il nostro lavoro.

Non servono abilità particolari, e nemmeno una raffinata sensibilità (anche se ritengo che la mia parte femminile sia molto ben ampliata ormai).

L’aspetto da tenere a mente è che ogni utente è diverso dall’altro: Alice è diversa da Francesca, Francesca è diversa da Elena, Elena è diversa da Elsa. Ognuna di esse ha la propria sensibilità, i propri dubbi, le proprie certezze. Ognuna di esse merita una risposta, una risposta che non sia uguale per tutte.

Qui, essenzialmente, si nasconde il segreto del nostro lavoro. Qui, essenzialmente, si cela la differenza tra un brand in grado di ascoltare e dialogare con la propria community e un brand “sordo”, incapace di generare valore per il proprio pubblico.

E pazienza se i temi trattati riguardano preparati per bambini, creme per le gambe o prodotti per la cura dei capelli.

Io amo dare consigli.
Io amo le mie donne.