Ho visto SanPa. Sia la comunità, sia il documentario.

La docu-serie uscita da poco su Netflix parla della comunità di San Patrignano, dedicata al recupero di tossicodipendenti, e del suo fondatore, Vincenzo Muccioli. La comunità più grande in Europa, a Corniano, in provincia di Rimini. “SanPa” è come era chiamata da tutti lì dentro.

Ho scelto di guardarlo soprattutto perché io, la comunità di San Patrignano, ho avuto modo di conoscerla dal vivo. Ci sono andata molte volte negli anni passati, in visita.

Vedere il documentario e rivedere certi ambienti, certi posti che ho realmente vissuto, mi ha aperto un cassetto di ricordi che fino a qualche settimana fa erano sopiti. Stiamo parlando degli anni 90 e dei primi anni del terzo millennio.

I miei, di anni, erano 12 la prima volta che sono stata in visita a SanPa. E ci sono andata fino ai 22. Quindi gli occhi all’epoca erano quelli di un’adolescente in crescita. E con quegli occhi io vedevo una specie di villaggio vacanze, abitato da tantissime persone che facevano diversi lavori tutti all’interno di quel posto: un luogo dalle molteplici particolarità per quegli anni. Un posto che non esisteva da nessun’altra parte. Un posto che, con gli occhi di allora, io lo ricordo accogliente e pieno di pace.

Ho mangiato diverse volte nella enorme sala mensa. Luminosissima. Con un soffitto molto alto ad archi e gli arredi in legno.
Tutti insieme. Tante persone. Lunghe tavolate.
Tante voci che risuonavano in questo posto immenso.

Ho dormito in una delle casette in legno, che erano le abitazioni delle famiglie che vivevano nella comunità, con giardini collegati e piccoli portici. Piccole case su un piano al cui interno c’era tutto, come in una casa vera: cucina, bagno, camere da letto, soggiorno. Tutto in spazi ridotti ma molto funzionali. Completamente arredate e dotate di tutto il necessario. Quando mi è capitato di dormire lì, dormivo nella camera degli ospiti: una stanzetta piccolissima con letto e armadio. Ma c’era anche la tv.

Ho passeggiato lungo le stradine e visto tanti animali. Ricordo anche una tigre.
Gli animali erano collocati nella parte più lontana di quello che per me era un piccolo villaggio, c’era da camminare un po’ prima di raggiungerli, ma poi era bellissimo vederli anche se tutti rinchiusi in recinti ad hoc. Praticamente uno zoo in miniatura. C’erano anche i cavalli e un maneggio super esclusivo.

Ho ammirato tante volte il paesaggio dall’alto di quella collina, attorniato da ettari di viti e vigneti. Ho sempre avuto la sensazione, guardando da quella posizione, di sentire uno stato di benessere e relax. Eppure non era ciò che si leggeva negli occhi delle persone che si incontravano.

Mi sono ricordata di come, quando camminavo all’interno del villaggio, non mi è mai capitato di incontrare qualcuno che passeggiasse solo. Sempre in coppia o in gruppo. E la motivazione a questo la scoprirete guardando il documentario.

Mi sono ricordata delle volte in cui ho visto quelli che per me erano dei tentativi di fuga. Corse verso delle recinzioni. Corse verso qualcosa di lontano. Lontano da lì.

Ricordo ragazze che piangevano, che si stringevano forte. Ricordo anche urla. Tantissimi sguardi fissi. Ma a volte, non spesso, anche tanti sorrisi.

Al contrario di chi tentava la fuga, molte di queste persone non avevano voglia di tornare ad una “vita normale”. Molti di loro una volta entrati decidevano di non uscire più. Di restare lì. Lavorando, rispettando le regole interne, dedicando il loro tempo e la loro vita a quel posto e alla gente che lo viveva.

Mi sono ricordata della sbarra che non faceva entrare nessuno che non fosse riconosciuto ed identificato all’ingresso. Mi sono ricordata dell’enorme fila di macchine che spesso era fuori da questa sbarra.
Di persone che sembrava fossero lì da giorni. Di gente che dormiva fuori con la speranza di poter essere accettata all’interno. Di genitori, tanti genitori, che accompagnavano i propri figli, certi di dare loro una seconda possibilità nella vita.

A SanPa ci ho trascorso anche un ultimo dell’anno. Con annesso uno show di Giorgio Panariello nel teatro della comunità. La famiglia Moratti presente. La famiglia Moratti era sempre presente. Se, ipotizziamo, andavo a SanPa 3/4 volte l’anno nei fine settimana, loro c’erano. Ogni volta. Li vedevo nel momento in cui si mangiava.

Ricordo anche Vincenzo. Tutti lo chiamavano così. Ho sempre pensato che per gli ospiti della comunità lui fosse visto come un Dio. E il documentario lo dimostra molto bene, racconta di questa figura immensa, molto presente soprattutto i primi anni, che aveva cura di tutti. E che quando parlava, non volava una mosca. Tutti zitti, tutti attenti alle sue parole. Quello che diceva lui, valeva oro per loro. Un visionario che ha tramutato una sorta di sogno in un progetto concreto.

Tre cose che ho apprezzato particolarmente di come è stato strutturato il docu-film

La prima è aver scelto di intervistare alcuni ex ospiti della comunità selezionando persone molto diverse tra loro, dalla personalità diversa, dalle sensazioni diverse, ma accomunati da un mix di sentimenti ed emozioni nel ricordo di quegli anni vissuti all’interno, che è talmente coinvolgente, da tenerti catturato in modalità calamita.

Un’altra cosa è il montaggio a regola d’arte di tutti i contributi di repertorio che sono il succo del racconto intervallati in maniera magistrale dalle immagini di oggi e degli intervistati. Un patrimonio di immagini storiche incredibili (e il fatto che ci fosse così tanto materiale fa capire quanto Muccioli volesse costantemente documentare la crescita di quello che era il suo gioiellino, il suo progetto, mentre prendeva forma).

L’ultima cosa è che alla fine di tutti gli episodi mi è rimasta la sensazione di chi, guardando il racconto, ha aperto e poi chiuso un cerchio. Non si ha il tempo di emettere giudizi, di prendere una posizione. Si è consci di aver avuto sotto gli occhi un racconto che ha saputo altalenare bello e brutto, buono e cattivo, facile e difficile, felicità e sofferenza, coraggio e arresa.

Ritengo fondamentale guardare SanPa. Impossibile non conoscere questo pezzo incredibile di storia italiana. Che ora mi sembra così lontano e invece riguarda solo qualche decina di anni fa. Uno spaccato di vita che difficilmente potrà avere un eco grande come quello che hanno avuto in quegli anni la nascita e crescita della comunità e la grandissima personalità del suo fondatore.

Buona visione a chi ancora non l’ha visto.
A chi invece l’ha già visto chiedo di raccontarmi cosa vi ha lasciato.
Perché una cosa è certa: qualcosa, questo racconto, lascia.