Che lavoro fai, adesso? È lo stesso che volevi fare quando hai iniziato a capire che avresti dovuto passare davvero tanto tempo della tua vita compiendo un’attività codificata da un contratto?

Il mio no. Dopo aver pensato di voler fare il pompiere, l’astronauta e il cowboy (erano gli anni 90, boys will be boys), mi sono preparato per intraprendere gli studi e diventare medico. Spoiler: non sono diventato chirurgo e anzi, dopo il test d’ingresso non ho nemmeno presentato l’iscrizione alla facoltà. Ho, invece, sbagliato strada altre due volte prima di iscrivermi al corso di laurea che ho terminato con risultati soddisfacenti, ché ogni tanto una pacca sulla spalla bisogna darsela.

Fast forward al 2021: poco prima di entrare in copiaincolla, qualche mese fa, sono passato attraverso una grossa crisi esistenziale e professionale. Non sapevo più se fossi davvero in grado di fare il designer. O meglio, non sapevo più se fosse questa la cosa che sono davvero bravo a fare.

Sono stato fortunato: la mia estesa esperienza in crisi personali e un paio di aiuti chiesti alle persone giuste mi hanno permesso di vedere che, questa volta, avrei avuto l’opportunità di risolvere il problema e non nascondere la polvere sotto al tappeto. Il percorso è tosto, ma almeno ti posso raccontare un po’ di cose che ho imparato sulle skills.

La prima cosa da fare è scoprire chi sei. Facile. 

E devi anche capire cosa sai fare. Una robetta da anni di psicanalisi.

Io, per esempio, non sono sicuro di saperlo ma sono piuttosto convinto di non essere uno con un talento speciale. All’inizio, questa consapevolezza mi ha demoralizzato: sono abituato a pensare alle persone dotate come a quelle che hanno già la vita sistemata, sanno già da dove partire e dove arrivare. Ma non è tutto oro ciò che luccica, e ci sono alcuni aspetti a cui di solito non si pensa.

Ecco perché vorrei farti vedere 3 pro e 3 contro di avere un gran talento.

3 lati positivi dell’essere persone talentuose

Il rapporto con gli altri

Quando ti trovi davanti a una persona talentuosa, la riconosci subito. Sembra che, mentre sta facendo la sua cosa, l’universo intero stia partecipando. È una bella esperienza, rincuorante.

Questa evidenza si riflette anche sul rapporto con gli altri. L’idea di una persona natural, che senza sforzi particolari riesce a eseguire attività complicatissime, ci affascina. A volte, crediamo persino che sia l’unico modo per essere davvero bravi in un’attività: durante uno studio condotto dalla Harvard University, un gruppo di ricercatori ha fatto ascoltare a una giuria di musicisti esperti due brani suonati con il pianoforte, uno eseguito da un grande talento e uno da uno striver (una persona che, per raggiungere buoni risultati in un ambiente, ha bisogno di molto lavoro) . Tutti i giurati hanno espresso lo stesso pensiero: il talento del pianista dotato si percepiva a orecchio, e nonostante il duro lavoro, l’altra performance non reggeva il confronto.

Questo è il pianista talentuoso o l’altro? Da unsplash.com

L’autopercezione

Sapere di avere un talento è un bel vantaggio quando si pianifica il proprio percorso di carriera. Già nel 1776 Adam Smith, secondo molti il primo degli economisti, aveva capito che “senza l’inclinazione a trafficare, barattare, scambiare, ciascun uomo avrebbe dovuto procurare a sé stesso tutte le cose necessarie alla sua vita; ciascun uomo avrebbe dovuto impegnare sé stesso in ogni cosa”1. Conoscere l’inizio del proprio percorso dà alle persone dotate un vantaggio prezioso: la possibilità di pianificare. Il programma WOOP (Wish, Outcome, Obstacle, Plan) è stato studiato da Gabriele Oettingen proprio per individuare i propri desideri, immaginare i risultati, prevedere gli ostacoli e progettare i passi successivi. 

L’effetto Pigmalione

L’effetto Pigmalione è una delle derivazioni della teoria delle profezie autoavveranti, secondo cui i giudizi degli insegnanti possono influenzare in modo sostanziale il futuro di uno studente. Se i primi si convincono che il bambino sia dotato, questi lo tratteranno, anche inconsciamente, di conseguenza. Questo giudizio verrà interiorizzato dall’allievo, che tenderà a diventare simile alla figura assegnata dagli insegnanti.
Quando una persona viene ritenuta di talento, quindi, è portata ad esprimersi come una persona dotata e, ricevendo feedback dello stesso tipo, instaurerà un circolo virtuoso. 

 

3 lati negativi dell’essere persone talentuose

Il rapporto con gli altri, dall’altra parte

Lo studio sul musicista di talento di cui ho parlato sopra ha un risvolto inaspettato: i pianisti presi in esame, il natural e lo striver, erano la stessa persona. Quello che la ricerca di Chia-Jung Tsay e Mahzarin R. Banaji ha dimostrato, infatti, è che verso il talento abbiamo un certo pregiudizio positivo. Le conseguenze di questo bias sono molteplici e molte riguardano l’idea che ci facciamo degli altri. 

Tutti sappiamo quanto sia necessario impegnarsi per raggiungere dei buoni risultati, ma spesso ci lasciamo andare al pensiero che l’assenza di sforzi renda più ammirevole il raggiungimento di un obiettivo. 

A volte pensiamo persino che dietro a lavori geniali non ci sia un lavoro lungo, duro e certosino. L’ha scoperto anche Philip Roth, la penna di Pastorale Americana, che quando ha dichiarato di volersi ritirare dalla scrittura si è trovato citato in un articolo sul Guardian. La tesi del giornalista, che rivela di non credere all’annuncio di Roth, e di molti altri è di non credere che un autore così prolifico e talentuoso possa aver trovato insostenibile l’attività di scrivere.

Philip Roth in una foto di James Nachtwey. A me sembra stanchino, in effetti.

Natural non basta

Non è importante avere un talento enorme, l’importante è saperlo usare. O così mi ha detto uno che conosco.
Secondo la professoressa Carol Dweck, che detiene la cattedra di Psicologia a Stanford, gli studenti dotati ma convinti che le capacità e intelligenza siano innate tendono a evitare le sfide con se stessi e i rischi, concentrando gli sforzi sull’apparire bravi, piuttosto che sull’essere bravi. In questo modo, riducono di molto le possibilità di sviluppare competenze.
La verità, secondo Dweck, è che anche i geni devono lavorare sodo per mettere a frutto il loro talento.

Talento o vocazione?

Se, poniamo, tu avessi l’orecchio assoluto e riuscissi a individuare qualsiasi nota musicale al primo ascolto, ma non ti interessasse una carriera da musicista? Cosa penseresti di te se non la volessi fare, quella cosa che ti viene così naturale? 

Quando mi sono trovato davanti a questo dubbio ho avuto due grosse fortune: ho visto Soul, di Pixar, e ho conosciuto il lavoro di divulgazione di Maura Gancitano e Andrea Colamedici di Tlon.

Il film d’animazione mette in luce la differenza tra la scintilla e lo scopo di ognuno. La prima è la conseguenza jazz del mito di Er di Platone: è il fuoco dell’esistenza, è il momento esatto in cui capiamo chi siamo e cosa possiamo fare bene. È, praticamente, un’illuminazione. Il secondo, invece, ci parla di un’altra parte di noi e ci mette davanti al fatto che non sempre il nostro talento è ciò che ci fa stare bene.
Questo stesso tema è centrale anche nel lavoro dei due fondatori di Tlon, che lo trattano dividendo il talento dalla vocazione. Il primo, ci avvertono, è un dono meraviglioso che però occupa spazio. E quando  “si fa troppo ingombrante (perché troppo presente o troppo assente) finisce con l’oscurare il senso dell’esistenza, che è invece paradossale, sterminato, incoglibile se non per approssimazioni.”. Seguire la propria vocazione, e sapere che spazio farle occupare, significa avvicinarsi allo scopo della vita.

Un messaggio positivo.

Tu, piuttosto, cosa sei bravo o brava a fare? Dimmelo qui sotto e se è una di queste cose, candidati!

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1A. Smith. La ricchezza delle nazioni, 1776