Rimettersi alla prova. La Prima Prova

A scuola non ho mai preso più di 6,5 nei temi. In quello della prima prova alla maturità 10/15esimi, che dovrebbe fare poco più di 6 se ragionato in decimi, ma magari mi sbaglio. Anche con matematica non è che andasse proprio benissimo.

Dare un voto ai temi è di per sé difficile. Addirittura sbagliato? Non c’è un vero piano oggettivo su cui misurare la qualità di un tema se non la correttezza grammaticale e sintattica. Se ci pensate anche un libro non può avere un voto oggettivo. Dipende da chi lo legge, da quale età ha. Un libro letto dalla stessa persona oggi e tra vent’anni assume fisiologicamente significati completamente nuovi. Migliori o peggiori che siano. Addio oggettività.

Facendo questo lavoro e scrivendo per qualche rivista ho capito che una delle variabili più importanti è il lettore. Devi sapere per chi scrivi. Devi mirare ad ottenere un buon “voto” da quel destinatario. Un tema a scuola per chi lo scrivi? Per la prof o per te? E se lo scrivi per te può piacere anche a lei? E se lo scrivi per lei, sessantenne, quando invece tu di anni ne hai 18, non diventa complesso poterlo sentire anche tuo? Ecco perché forse lei non aveva nessuna colpa e io non ero una completa pippa. Solo eravamo distanti; solo io non avevo maturato la capacità di scrivere per altri; solo non sapevo chi ero e se non lo sapevo io come potevo pretendere lo capisse lei e mi comprendesse?

Film notevole, The Big Kahuna. Il monologo finale è diventato un cult del cinema. Tra le altre cose dice “Le persone più interessanti che conosco a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita. I quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno”. Io quella cosa me la sono sempre presa per giustificare di non sapere bene chi fossi, né cosa volessi.

Oggi, 19 giugno 2019, è il giorno della Prima Prova della maturità di quest’anno scolastico.
A quindici anni da quando mi sono diplomato, ho deciso di rimettermi alla prova. Ora comincio e al solo pensiero mi torna tutta l’ansia che avevo allora. Sarà dura.

Traccia A1 – Interpretazione de “L’Allegria, Il Porto Sepolto”, Giuseppe Ungaretti

M’illumino e ci penso.

Traccia A2 – Interpretazione de “Il Giorno Della Civetta”, Leonardo Sciascia

Cara professoressa,

il Giorno della Civetta è innanzitutto una contraddizione in termini in quanto la civetta risulta essere animale – rapace, per la precisone – specificamente notturno.

Ritengo dunque il titolo fuorviante e intendo segnalare la cosa ai miei genitori, al provveditorato e ad una pagina Facebook in grado di sollevare sufficientemente fango sulla sua professionalità creando i presupposti per trarne un caso ripreso anche dalla carta stampata.

Cordialmente, il suo studente.

Traccia B1 – Testo argomentativo su “Istruzioni per l’uso del futuro”, Tomaso Montanari

Montanari, nel suo saggio, afferma che il patrimonio artistico e culturale deve essere la base su cui costruire il futuro.

La bellezza salverà il mondo? Sì. Noi salveremo la bellezza? Partendo dal presupposto che la bellezza è relativa, e che andrebbe prima scritto un altro tema argomentativo sul concetto di bellezza (spero non me ne voglia, ma eviterei di tornare l’anno prossimo. Quindi quel tema se lo scriva da sola.) partendo da quel presupposto, dicevo, se non salveremo la bellezza che esiste ora, ne creeremo certamente di nuova.

La bellezza è parte stessa della vita dell’uomo. Non può non produrne, e ne produce anche a sua insaputa. La bellezza e l’orrore, il piacere e il dramma, la gioia e lo strazio. Tutto esisterà sempre. E smettiamola di credere che la bellezza sia solo quella che viene dalla notte dei tempi, quella di palazzi storici e musei classici. Esiste quella ma esiste anche la bellezza che creiamo ogni giorno.

La bellezza è cosa viva. La bellezza è attorno a noi. Noi salveremo la bellezza semplicemente per il fatto che noi siamo (anche) la bellezza.

Traccia B2 – Testo argomentativo su “L’illusione della conoscenza”, Steven Sloman e Philip Fernbach

Sloman e Fernbach raccontano molto bene una serie di aneddoti legati all’esplosione più grande della storia dell’umanità. Nel 1954, nell’atollo di Bikini, al centro del Pacifico, una bomba termonucleare superò di gran lunga le aspettative di coloro che avevano programmato l’esperimento. Uccise tutti coloro che dovevano raccogliere dati dell’esplosione e uccise moltissimi civili residenti in isole che non era previsto venissero raggiunte dalle radiazioni.

Sloman e Fernbach si stupiscono della contrapposizione di cui è capace l’uomo tra ingegno e stoltezza. Creare una bomba e restarne uccisi è qualcosa di poco comprensibile. Si chiedono dunque se quella conoscenza tecnica sia valsa realmente come sapere, se sia davvero stata un valore. Se conduce a conseguenze autodistruttive per la razza che ne è portatrice, forse sarebbe stato meglio restare nell’ignoranza?

Credo che i due autori la vedano troppo tragica. Troppo freddamente. In quella contraddizione c’è tutto il fascino inspiegabile della natura umana. Senza quel conflitto tra ragione e follia non esisterebbe l’arte. Non esisterebbe l’imprevedibilità. Non esisterebbero le storie che gli uomini si tramandano e che gli uomini amano. Non esisterebbe alcun motore del progresso. Non esisterebbe il mondo come lo conosciamo.

Per fortuna i paradossi esistono. Per sfortuna a volte diventano mortali.

Traccia B3 – Testo argomentativo su “L’eredità del Novecento”, Corrado Stajano

Stajano dice che la caduta del Muro di Berlino, ultimo respiro del secolo breve, ha aperto un tempo di incertezza. Per quanto terribili possano essere le fondamenta di un palazzo, se poi le togli devi mettere in conto che quel palazzo verrà giù. La differenza la fa la predisposizione degli inquilini: sanno a cosa vanno incontro e sono in grado di costruirsi un nuovo palazzo? Oppure non se ne accorgono e restano seduti nei loro salotti mentre cadono nel vuoto?

Professoressa mi perdoni, ma questo tema diventerebbe ovvio e noiosissimo, dato che non si può che essere d’accordo con Stajano. Quindi non proseguo.

Traccia C1 – Testo argomentativo di attualità sul tema della Mafia, da un discorso di Luigi Viana

Il corpo del Generale Dalla Chiesa è sepolto a Parma, nel Cimitero della Villetta. Lì, il 3 settembre del 2012, il prefetto Luigi Viana ha condotto un discorso di commemorazione in occasione del trentennale della morte del Generale, della moglie Elisabetta Setti Carraro e dell’agente della scorta Domenico Russo.

Questa mattina accompagnavo mio figlio all’asilo e nella vetrina di una libreria ho notato una copertina. Rosso Mafia. La ‘Ndrangheta a Reggio Emilia. Per pura coincidenza, l’autore è Nando Dalla Chiesa, figlio del Generale. Tra Parma e Reggio ci sono 38 chilometri di Via Emilia. Nel suo discorso, Viana racconta dell’approccio sperimentale e innovativo che Dalla Chiesa ebbe nel concepire il suo ruolo di Prefetto a Palermo.

Probabilmente oggi, una delle scelte che possiamo compiere per non rendere vane quelle e tutte le altre morti di Mafia, è approcciare il tema anche noi in modo nuovo. E una delle più grandi novità è iniziare a capire che davvero Mafia, Camorra, ‘Ndrangheta sono qui dove siamo noi. Che incrociamo i loro uomini in auto mentre andiamo al lavoro, che possono essere seduti nel tavolo a fianco al nostro al ristorante. Possiamo iniziare a capire davvero che non è questione del sud. Che i loro affari vengono condotti con il sostegno di imprenditori e persone di responsabilità nate e cresciute nelle nostre città e nei nostri paesi del nord. Credo e sento che questa percezione è ancora troppo debole. Credo e sento che da quella percezione possono passare i risultati che i Dalla Chiesa, i Falcone, i Borsellino, i Tutti gli altri auspicavano per il loro e il nostro futuro.

Alla fine della commemorazione, Viana ricorda la donna palermitana che fuori dalla chiesa in cui si tenevano i funerali di Stato, desiderò dire ai figli del Generale “non siamo stati noi”. Non siamo stati noi ad avere il dito sul grilletto. Possiamo però essere noi quelli che non si accorgono del puzzo che cresce sotto casa nostra. Una mancanza che ci butterebbe addosso un pezzo di responsabilità.

Traccia C2 – Testo argomentativo su “Tra sport e storia”, un articolo di Cristiano Gatti

Cristiano Gatti ha scritto di Gino Bartali, il ciclista italiano più glorioso assieme a Coppi, con cui negli anni 40 instaurò un dualismo epico che divise il paese e di cui parlavano uomini donne e bambini. Ha scritto di Bartali e del suo impegno durante la guerra per salvare la vita a molti ebrei perseguitati. Da qui il ministero ha preso spunto per chiedere se possa esistere un reale legame tra sport e Storia.

Ricordo una partita dei mondiali di Francia ’98. Era USA contro Iran. Credo fosse un incontro della fase a girone considerando che a parte qualche giocatore feticcio le due squadre erano di un livello piuttosto mediocre in quel contesto. Mi era rimasta impressa la foto delle due squadre ad inizio partita. Non l’avevano fatta nella classica posa giocatori in piedi e giocatori accosciati. No. Avevano fatto una foto comune. Si erano mescolati tutti e 22. E i due capitani, oltre ai due canonici gagliardetti, avevano scambiato due enormi mazzi di fiori.

Io non sapevo nulla delle tensioni tra i due paesi. Della questione nucleare. Della vicenda dei cittadini statunitensi rifugiati nell’ambasciata americana a Teheran nel 1979, quando la monarchia era stata rovesciata dalla repubblica islamica sciita che ancora oggi resiste. Non ne sapevo nulla. Il telecronista aveva parlato di “valore dello sport”. Mio padre mi aveva raccontato quel che non sapevo. Per la prima volta, a 13 anni, avevo sentito parlare dello sport come una chiave per creare ponti. Per risolvere questioni che la politica o la storia lasciano in sospeso. Mi era sembrato esagerato. Oggi lo capisco di più.

Le storie legate allo sport e al corso della Storia sono infinite. Come quella del 13 maggio del 1990, a Zagabria. La Jugoslavia vola verso il definitivo scoppio delle tensioni che porteranno alla guerra dei Balcani. Quel giorno si gioca Dinamo Zagabria-Stella Rossa. I primi sono la squadra più importante della Croazia, i secondi della Serbia. Le due tifoserie sono zeppe di personaggi poco raccomandabili. Molti di loro andranno a formare parte delle truppe al fronte che, di lì a pochi mesi, si renderanno autrici di crimini di guerra. A mantenere l’ordine pubblico ci sono i poliziotti federali. Tutti filo-serbi. I loro manganelli picchiano solo verso i croati e a quel punto il numero 10 dei croati decide di farsi giustizia. Avvicina un poliziotto e lo prende a calci. La foto di quel momento, di quel giocatore di calcio con il piede lanciato verso il poliziotto, fu un punto di non ritorno. Una delle scintille più forti ad innescare la miccia della guerra.

Lo sport è potente. Ha visibilità e muove passioni. La Storia si specchia nello sport del suo tempo perché a sua volta nello sport si specchiano le donne e gli uomini del loro tempo. Non deve stupire che lo sport viaggi con la Storia, perché lo sport siamo noi. E anche la Storia siamo noi.

Ok, ho fatto. Consegno ed esco.
Spero che, maturando, oggi le mie tracce valgano almeno un 6,6. Sarebbe un bel progresso.