C’era già una V.

Un uragano.

Porta sempre in borsa qualche fascetta in plastica nera, di quelle da ferramenta. Una volta le ha usate per riparare il paraurti dell’auto aziendale, un’altra per farne un cuore da lasciare ad un ragazzo che le piaceva.

Va a lezione di canto e ama la pesca sportiva. Aveva anche ricevuto in ufficio un retino nuovo, comprato su Amazon, e me lo aveva fatto vedere spiegandomi perché era una figata rispetto a quello che aveva prima. Lo ammetto, era davvero molto bello.

Due volte all’anno fa uscire un pezzo remixato che prende spunto dalle frasi o dalle battute tormentoni del momento in agenzia. Quando presenta il nuovo remix è un evento. L’ufficio si ferma, lei lo balla.

Durante il lockdown, il venerdì pomeriggio, organizzava su Meet degli aperitivi tutorial in cui ci guidava come una straordinaria Muciaccia nella creazione di oggetti utili realizzati con materiali di riciclo. Un portapenne con il rotolo della carta igienica, un porta smartphone con una confezione di gomme da masticare e molte altre cose.

Uno dei tutorial di V. nel corso del lockdown. Qual è lei non ve lo dico. Indovinate voi.

Ha scritto quello che per me è il più bell’articolo mai scritto su questo blog.
Ha una forte intolleranza al pomodoro.

Sulla sua auto ha dei coprisedili su cui sono raffigurati Papa Bergoglio e Bob Marley. Bob Marley dal lato guida, a fare le sue veci quando lascia la sua Lancia Y in sosta. Il Papa invece suo affettuoso compagno di viaggio.

Per il dispiacere di disfarsi delle cose che non usa più, finisce per accumulare sulla scrivania una spaventosa quantità di oggetti. Come un fiore in vaso morto da due anni e mezzo.

C’era già anche un G.

Per un periodo qui in agenzia, sul divano viola che avevamo all’ingresso, abbiamo tenuto un orrendo cuscino a forma di gatto. Al primo colloquio con G., per rompere il ghiaccio, quando gli avevo stretto la mano (perché allora non c’era il Covid e stringersi la mano non era ancora porno) gli avevo chiesto, restando molto serio, se il cuscino fosse suo. Era rimasto un po’ spiazzato ma da lì in poi è stata tutta discesa.

G. dal punto di vista professionale ha definitivamente svoltato. Io che mi appoggio anche sulle sue spalle, sento la stessa solidità di un pezzo di granito. Umanamente invece è sempre stato un fenomeno, fin da subito. G. è una di quelle persone che entrano in una stanza e ne cambiano la temperatura. Che fanno diventare più leggere le situazioni. Alcuni lo fanno prendendo la scena, lui no. Lui dalla scena si lascia prendere. Accentra su di sé sorrisi e bonarie prese in giro. Ha una brillante autoironia.

Una volta a G., durante un temporale, è caduto un pino sopra all’auto parcheggiata qui fuori. Di quel momento nessuno ricorda di lui sconforto, parolacce, preoccupazioni. Tutti invece ricordiamo la sua foto sul gruppo WhatsApp di copiaincolla con lui al centro del parcheggio allagato, i jeans risvoltati fino al polpaccio, a guardare quell’albero di merda (ma di merda lo dico io, lui mai!) accasciato sul tetto della sua Polo nera.

Sullo sfondo la sua Polo nascosta dall’odioso pino. In primo piano G., straordinariamente tranquillo. Abbastanza tranquillo, dai.

V. e G. insieme sono pirotecnici

Gli identikit di V. e G.

Ora c’è un’altra V.

Lavorava in un’agenzia di Milano. Si occupava di analisi di mercato, analisi del brand e di tentare di reggere a ritmi durissimi. Sveglia alle 5.00, alta velocità, Centrale, metro, ufficio, pausa pranzo davanti al monitor, metro, Centrale, alta velocità. A volte continuava a lavorare in treno. Dalla stazione a casa guidava in una sorta di veglia confusa tra la sera e la notte.

«Io non ce la faccio a vivere in città. Voglio che la mia casa non abbia altre persone attorno. Per dirti, da dove abito io, il cassonetto più vicino è a sei chilometri». V. lavorava a Milano da dopo l’università, a Milano anche quella. L’università era un istituto privato che non si sarebbe mai potuta permettere se non avesse vinto una borsa di studio per potersi iscrivere al primo anno. E che non avrebbe potuto proseguire se non avesse vinto di nuovo la stessa borsa di studio all’inizio del secondo anno e poi del terzo. «Abitavo a Milano, all’inizio da mia zia. La amavo, era una pazza. Aveva settant’anni, ma su un sacco di cose era più giovane di me». Poi dopo la laurea si era trasferita in un appartamento insieme ad un suo ex compagno di corso. Il solo modo per resistere era riempire la casa di piante. «Mi serviva la natura, sai Diego? Avevo più piante che metri quadrati. A un certo punto il mio coinquilino m’ha detto “io ti voglio bene, però non puoi continuare così”. Poverino, aveva ragione. Allora sono tornata a casa mia. In campagna».

Qui, nel 2014 a San Siro, con Ligabue c’era anche V. Lui cantava, lei vendeva le magliette con il suo nome.

A quattordici anni voleva ad ogni costo il motorino. Le serviva un lavoretto estivo per pagarselo e aveva trovato posto agli stand del merchandising ufficiale dei concerti. Partiva in tour con i musicisti e i tecnici. Tiziano Ferro («Più bodyguard che coristi, non l’ho conosciuto. Concerti per me noiosissimi), Jovanotti (bellissima persona, alla mano»), Ligabue («Il giorno dell’orale della Maturità mi aveva fatto arrivare un biglietto con scritto “In bocca al lupo”, era stato carinissimo!»), Litfiba («I concerti che ho amato di più tra quelli in cui ho lavorato. Pelù si preoccupava che le persone dello staff mangiassero, aveva quell’ansia»), Renato Zero («Divertentissimo vedere le persone che vanno ai concerti di Renato Zero»), Laura Pausini («È impressionante, urla dall’inizio alla fine»).

Dà nomi alle cose. Tutte le cose. Come l’immenso fico che ha in giardino a cui ha dato un epiteto che lei non intende confessare perché dice che è davvero troppo volgare. Non se la sente ancora. Magari quando entrerà più in confidenza con noi, chissà.

V. G. e V. sono solo tre esempi di fauna di copiaincolla

Io vi auguro che i vostri progetti di comunicazione finiscano nelle mani di persone così.

Io con gente come V. G. e V. vi auguro anche di riderci, litigarci, farci due ore in macchina, pranzarci, chiedergli un favore, contraccambiarlo, ascoltarli quando sono in difficoltà, vederli aver successo, appoggiarvi a loro sapendo che senza gente così sareste persi.

Tanti V. G. V. a tutti.