Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di ordine generale

Tra le tracce di maturità di qualche anno fa ce n’era una che chiedeva a una serie di diciottenni irrequieti di riflettere sul concetto di confine partendo dalla citazione di un libro in cui mi sono imbattuta qualche anno prima per un esame di geografia economico-politica sostenuto all’Università. L’estratto diceva:

“Il confine indica un limite comune, una separazione tra spazi contigui; è anche un modo per stabilire in via pacifica il diritto di proprietà di ognuno in un territorio conteso. La frontiera rappresenta invece la fine della terra, il limite ultimo oltre il quale avventurarsi significava andare al di là della superstizione contro il volere degli dei, oltre il giusto e il consentito, verso l’inconoscibile che ne avrebbe scatenato l’invidia. Varcare la frontiera, significava inoltrarsi dentro un territorio fatto di terre aspre, dure, difficili, abitato da mostri pericolosi contro cui dover combattere. Vuol dire uscire da uno spazio familiare, conosciuto, rassicurante, ed entrare in quello dell’incertezza. Questo passaggio, oltrepassare la frontiera, muta anche il carattere di un individuo: al di là di essa si diventa stranieri, emigranti, diversi non solo per gli altri ma talvolta anche per se stessi.”

Piero ZANINI, Significati del confine – I Limiti naturali, storici, mentali – Edizioni scolastiche Mondadori, Milano 1997

 

Tutti i candidati di quell’anno stavano per valicare essi stessi il confine tra la vita da studenti superiori e la vita da universitari, lavoratori, genitori e tutto quel che il futuro avrebbe riservato loro.

Spazio e Tempo

Sulla parete nord della mia cucina, a fianco del frigo tappezzato di foto e adesivi personalizzati di vario generec’è un complemento d’arredo piuttosto inusuale: un planisfero. Mica quelli moderni, grattabili, che si illuminano o che puoi ricomporre partendo da stati separati. Una classica carta geografica da aula scolastica, con il mare azzurro pallido e le nazioni color pastello. La rappresentazione di confini per eccellenza, un regalo di mia mamma, che oltre a essere mia mamma è stata anche insegnante di geografia in diverse scuole elementari.

Quando le elementari le facevo io, Geografia e Storia si chiamavano Spazio e Tempo. Non era un caso che, come per Matematica e Geometria, spesso le due materie fossero insegnate dalla stessa persona. Storia e Geografia si differenziano: la prima guarda al passato, la seconda al presente e al futuro. Se la storia è sostanzialmente immutata, la geografia punta a leggere la situazione attuale per ipotizzare variazioni e soluzioni ai problemi incontrati. 

Storia e Geografia vanno di pari passo: il mondo è un libro già scritto e saturo di valori territoriali ma soprattutto economici, politici e ambientali. Non ci sono più Marchi Poli e Cristofori Colombi che vanno a esplorare il mondo. Ci sono ancora, invece, continue reinterpretazioni a questi valori in costante mutamento temporale.

Il tempo spesso sostituisce lo spazio. Quante volte ci chiediamo quanto ci si impiega ad arrivare a una destinazione rispetto a quanti chilometri ci sono per arrivarvici?

Se fai le scuole elementari e ti mostrano una carta geografica, vedi solo moltissimo spazio. Difficile che un bambino o una bambina di 6-7 anni anche di curiosità elevata si chieda perché a un certo punto uno decida di tracciare su uno spazio una linea di demarcazione. Difficile anche che un bambino o una bambina possano chiedersi se una linea divida o unisca. Facile invece che quello stesso bambino o quella stessa bambina abbiano involontariamente creato con gomme e matite linee di demarcazione tra il proprio banco e quelli adiacenti, senza conoscere l’importanza di quel gesto. Lo spazio è la dimensione che l’uomo scopre e conosce per prima e l’appropriazione di uno spazio è connaturata al suo modo di vivere. Il concetto di confine probabilmente fa parte dell’istinto di conservazione dell’essere umano, inconsciamente anche se fai le scuole elementari.

Una nostra Art dice che Photoshop non fa miracoli, un’altra li ha fatti con la terribile fotografia che le ho inviato e credetemi, le mie fotografie sono al confine dell’accettabile.

Unione e Divisione

I banchi di scuola ai miei tempi sono sempre stati a coppie, a file, o a ferro di cavallo. I banchi sono sempre stati vicini e gli alunni anche. Essere compagni di banco diventava un’opportunità di inclusione: l’esercizio a coppie, l’esercizio copiato, la merendina passata sotto al banco, il bigliettino scambiato, la dedica sul diario, la matita in prestito. Il banco diventava un confine che favoriva l’apertura e non la chiusura, una connessione e non una separazione, l’amicizia e non la guerra. In quel caso il confine rappresentava comunque una linea di contatto. Durante i compiti in classe i banchi si dividevano. In quel caso, invece, il confine non era più una linea tra due spazi ma uno spazio vero e proprio, quello tra un banco e l’altro, e simboleggiava una divisione.

È un confine sottile, appunto, capire quando si crea una linea di divisione tra un di qua e un di là e quando invece si crea uno spazio di confronto. 

Proprio come i banchi, anche i confini si spostano.
Si cancellano anche, grazie alle organizzazioni sovranazionali per esempio.

Si impongono a volte, a causa di un virus.

Così il di qua diventa casa nostra e il di là diventa tutto il mondo fuori. In una regione è zona rossa e in un’altra una zona gialla. Confinato in una camera c’è un positivo e dall’altro lato della porta c’è un negativo.

Solo spaziando tra i vari significati di confine, cambiando prospettiva, guardandoli all’esatto opposto, ci accorgiamo che i confini possono avvicinare o allontanare a seconda di cosa noi decidiamo di fare con loro. Individuarli, romperli, difenderli, valicarli. Se in alcuni casi ci siamo adattati a confini più potenti di noi, come i confini naturali di un mare o di una catena montuosa, in altri casi abbiamo preteso che loro si adattassero alle nostre decisioni.

Darwin e Ratzel

Nel 1859 Darwin pubblica un noto libro sull’origine della specie, fondamentale perché dimostrava come le condizioni ambientali influenzassero l’esistenza degli esseri viventi.

Qualche anno dopo il geografo tedesco Ratzel scrive in Anthropogeographie – Geografia dell’uomo l’esatto opposto: analizza i cambiamenti causati nella geografia fisica dall’azione umana, spesso per scelta politica. È il primo a coniare l’espressione spazio vitale.

Ma il pensiero di Ratzel viene travisato: la metafora dello stato come organismo vivente viene portata ad un livello secondo il quale se l’uomo ha fame e la donna ha del cibo ma questa non è disposta ad essere pagata per cederglielo, lui lo prende comunque. Lo stato è autorizzato a prendere quello che gli serve anche se non è suo.

Lo so, se questo spazio fosse un foglio a protocollo probabilmente sarei al secondo. ___________________ _________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Un film e un corto

Est – dittatura last minute è un road movie ambientato alla fine degli anni 80, poche settimane prima della caduta del Muro. Tre ventiquattrenni partono da Cesena con una cinepresa e un carico di biancheria intima femminile da rivendere ai mercatini nell’Europa orientale sovietica. Un’occasione per varcare alcuni confini. A Budapest incontrano un uomo rumeno in fuga dalla dittatura di Ceauçescu che chiede loro di portare una valigia oltre confine e consegnarla alla moglie e alla figlia. Viaggiano verso Est fino a una Romania ormai in ginocchio dopo anni di un regime fatto di silenzi e indifferenza. Povera, vuota, di ferro. Uno spazio in cui niente ha più lo stesso sapore e in cui tutto è indispensabile. Benzina, armi? Cosa può contenere quella valigia di così importante per rischiare di essere fermati, scoperti e condannati alla frontiera? 

[SPOILER]  Solo verso la fine del film si scopre essere una valigia piena di ricordi ormai lontani. Caffè, cioccolata, pupazzi. Non è una semplice valigia, ma la speranza di una famiglia.

Ogni cosa è una conquista ottenuta a caro prezzo, l’odore del caffè, una festina in casa, la musicassetta di Voglio vederti danzare. La dolcezza dei piccoli gesti avvolta sull’amarezza della guerra. 

Il videoclip Iron Sky di Paolo Nutini, girato a Kiev, ha vinto due premi agli UK Music Video Awards 2014, uno dei principali riconoscimenti professionali nell’industria video. Nel cortometraggio un regime totalitario senza nome in un’Europa orientale distopica controlla i suoi cittadini trasmettendo suoni esasperanti. La scelta del regime è ispirata alla presenza nel pezzo del discorso pronunciato da Charlie Chaplin alla fine de Il grande dittatore. È difficile dare un’interpretazione precisa del significato di questa scelta ma di certo non è nella volontà del regista e dell’autore. Il focus del video non è infatti il regime in sé, quanto piuttosto il modo in cui persone diverse imparano a sopravvivere a quella situazione. Un’anti-utopia che fa della paura la sua autenticità, con un prete ortodosso che va a spasso con il turibolo dell’incenso in abiti militari.

Un frame del videoclip Iron Sky

Di qua e Di là

Ogni tanto il mio coinquilino, che oltre a essere mio coinquilino è anche il mio compagno, posa l’indice su un punto della cartina geografica appesa in cucina e dice qualcosa come <<L’anno prossimo andiamo lì.>>.

Nei primi 29 anni e mezzo della mia vita non ho viaggiato un granché. La mia famiglia è sempre stata più da stessa storia, stesso posto, stesso bar della spiaggia che da Vita da camper.

Ho scritto più stati di quelli che ho visitato, ho spuntato poche righe dell’elenco di cose da vedere e fare prima di morire, non ho mai mangiato sushi e sto ben attenta a eludere la maggior parte dei locali che non includano nel menù gnocco fritto e salumi, agnoli in brodo e guancialini con polenta. Probabilmente sono la persona con la Laurea in Lingue straniere più inutile del pianeta Terra.

Potremmo dire che nonostante io abbia più barriere culturali che linguistiche con quelli che stanno dall’altra parte, quelli che parlano altre lingue, quelli che mangiano sushi, entrambi per me sono confini più mentali che geografici.

La lista dei confini mentali che vorrei valicare è decisamente più lunga di quella dei confini geografici.

Include per esempio le partenze in salita, che in auto aggiro prendendo il percorso più lungo, anche con la benzina a 2.345. Ha incluso il terrore per i semafori rossi e l’odio per autostrada, e l’ansia per la guida in generale.

Oggi per raggiungere la sede di copiaincolla percorro all’incirca una novantina di km al giorno, sfidando ogni mattina parecchi semafori e imboccando l’Autostrada del Brennero.

La sbarra del casello è un confine che me ne ricorda un altro già superato.

È utile a volte passare a trovare i propri confini e ricordare di averli vinti.

È ancora più utile pensare ai confini della propria vita e disegnarne una mappa.

Lo dicono anche i Baci Perugina che spesso siamo noi il nostro confine, il limite di noi stessi. Per paura di fare una cosa giusta o sbagliata. Per la sicurezza che ci dà il di qua e la paura di quel che c’è di là.

Ed è comprensibile.

Con certi confini ci vogliono due palle così.

I confini sono anche passaggi.

Scegliere cosa fare con loro equivale a una scelta più grande.

Siamo abituati a leggere la realtà in modalità di sistema e secondo schemi culturali spesso prestabiliti. Di qua e di là, giusto e sbagliato, buono e cattivo, bianco e nero. Per uscire dalle dicotomie bisogna per forza entrare in uno spazio di confine. Uno spazio di incertezze e di dubbi, uno spazio stretto, ma mai quanto quello in cui si colloca l’uomo con la pretesa di catalogare in due categorie così distinte il mondo che lo circonda e quelle azioni che non può, non vuole o non sa comprendere. Spostare i margini dei nostri confini potrebbe invece aiutarci alla produzione di nuove idee e alla ricerca di sfumature e visioni della realtà diametralmente opposte a quelle a cui ci hanno abituato queste dicotomie. La capacità di leggere e ragionare in multi scalarità è uno dei principi della geografia. Si tratta sempre di prendere la realtà da diversi punti di vista. Napoli è il sud per Milano, ma Milano è il sud per Francoforte. La carne per i cristiani è sbagliata nei venerdì di Quaresima, mentre per gli induisti lo è tutto l’anno.

Io sui confini ci sto abbastanza bene, in quello spazio oltre al giudizio.

Il sushi però, proprio non ce la faccio.