Ero fermo a un semaforo rosso, su Corso Lodi.

Era una di quelle sere dell’estate 2021 in cui la promozione del mio libro mi aveva portato da qualche parte nel nord Italia a presentarlo finalmente in presenza, finalmente con un pubblico che vedevo davanti a me e non più nascosto dietro al numero degli utenti collegati a una diretta Facebook. Stavo accompagnando in Corvetto un ragazzo che aveva letto il libro e a cui avevo chiesto se gli andasse di farmi da moderatore per quel venerdì in un locale non lontano dai Navigli. Una scelta sperimentale ma che ha pagato.

In quel momento, a quel semaforo, stavamo parlando di Rick and Morty e di come nella serie Netflix venissero rappresentate alcune dinamiche introspettive dei personaggi, quando da una Smart con i finestrini completamente abbassati due ragazze stavano facendo uscire tra l’asfalto e gli alberi quelle strofe.

Se per caso cadesse il mondo
Io mi sposto un po′ più in là
Sono un cuore vagabondo
Che di regole non ne ha

Erano gli ultimi minuti di venerdì 9 luglio e Raffaella Carrà era morta lunedì 5. Se ne era parlato per tutta la settimana, con le radio che avevano passato e ripassato le sue canzoni e con i giornali che avevano fatto uscire dai cassetti delle redazioni i loro coccodrilli.

Già, i coccodrilli.

Giornalisti e coccodrilli

Lo sapete, nel gergo giornalistico i coccodrilli sono gli articoli commemorativi da pubblicare in occasione della scomparsa di un personaggio pubblico. La particolarità di quei pezzi – pezzi che non sono altro che sintesi della biografia del celebre defunto – è che vengono scritti in anticipo, anche molto in anticipo, così da assicurare alle testate di essere poi molto rapide nella pubblicazione già una manciata di minuti dopo che le agenzie escono con la notizia della scomparsa di questo o quel personaggio. Una rilettura veloce, minimi aggiornamenti al coccodrillo nel caso negli ultimi tempi siano successe altre cose interessanti nella vita personale o professionale del vip, e la certezza di non bucare la notizia e nemmeno di coprirla troppo in ritardo.

L’allegoria coccodrillo credo sia una trasposizione dell’espressione lacrime di coccodrillo, come a enfatizzare la falsa commozione espressa dai giornali in realtà più interessati a vendere copie – quando l’espressione è nata i giornali erano ancora solo di carta e ancora vendevano molto – che non a esprimere un sincero dolore.

Una visione forse fin troppo cinica: nessuno si aspetta che un giornalista ne soffra come un famigliare, ma tant’è.

Là in Corso Lodi ascoltavo quelle due della Smart gridare Com’è bello far l’amore da Trieste in giù in una versione sguaiata e liberatoria, da inno del loro personalissimo venerdì sera su cui riponevano aspettative che solo loro conoscevano, e pensavo anche ai coccodrilli dedicati alla Carrà.

Gli episodi bottiglia

The Outer Limit è una serie tv che andava in onda nei primi anni 60 sull’americana ABC. Una volta Leslie Stevens, il creatore e produttore esecutivo, disse che di fronte all’improvvisa necessità di dover realizzare un episodio in tempi brevissimi e a budget molto ridotto, c’era riuscito come se l’avesse “tirato fuori dalla bottiglia, come un genio”. Un’auto incensatura che sostituisce “l’episodio da una bottiglia” al più classico “coniglio dal cilindro”, ma senza cambiarne troppo il senso.

Da allora gli episodi bottiglia sono quella cosa. Episodi creati sapendo di avere tempi e budget risicatissimi.

Se conoscete BoJack Horseman – e se non lo conoscete vi prego di andarlo a conoscere, su Netflix – ricorderete Free Churro, quell’episodio completamente strutturato attorno all’elogio funebre del protagonista durante il funerale della madre, accolta da una bara di legno scuro accanto a lui.

La profondità narrativa, la qualità della scrittura, la splendida voce del doppiaggio del protagonista, la complessità del personaggio, raggiungono in Free Churro una sublimazione che in nessun altro episodio della serie. Se ci riescono è grazie al ritmo rallentato. L’assenza di una sostanziale trama fa sgorgare tutto quello che è forma e non sostanza, fortunatamente per loro una forma splendida. Non succede nulla? Allora succede tutto ciò che solitamente è solo condimento, lasciando così i sensi avvolti in uno sfoggio di futilità totalizzante. Completamente appagante.

Cosa farsene di tutto questo

In realtà molto.

Indipendentemente da quale sia il vostro ambito lavorativo o quali siano i vostri interessi, i coccodrilli dei giornalisti e le bottiglie degli sceneggiatori insegnano molto sulla gestione dell’avvenire e sul valore delle costrizioni.

Portarsi avanti il più possibile nel programmare il programmabile, fare del vecchio “chi ha tempo non aspetti tempo” un mantra, tentare di prevedere il futuro non per il gusto utopico di tentare di conoscerlo già senza alcuna possibilità d’essere smentiti dai fatti, ma piuttosto con l’amore per l’organizzazione del proprio tempo e dei propri sforzi. Fare ogni passo che possa accorciare la strada ancora da percorrere verso l’obiettivo e farlo non appena lo si può fare, senza aspettare.

I coccodrilli delle redazioni sono questo. Sono risparmiare il tempo per qualcosa che ancora non si conosce. Evitare di dover sprecare tempo a scrivere l’articolo biografico di un personaggio appena scomparso magari nello stesso giorno in cui quel tempo servirebbe per coprire una notizia chiave, o un’inchiesta che potrebbe cambiare la vita di quella firma e di quella testata.

Se non sarà stato utile pazienza, ma perché mai correre il rischio di accorgersi a posteriori che invece lo sarebbe stato ma che non lo si è fatto per pura disorganizzazione, se non per pigrizia?

E poi le bottiglie. Gli episodi che ne portano il nome sono l’ennesima conferma di quella meravigliosa regola controintuitiva che vuole i limiti, i lacci, le regole, come degli enormi amplificatori della creatività.

Di fronte all’immensità di un oceano pieno di opzioni tutte praticabili la mente umana è portata allo stallo. Tutt’altro effetto hanno invece le sottrazioni. Lasciano l’essenziale e costringono a escogitare soluzioni nuove. Accendono sinapsi che avevano preso ormai la polvere di tante e tante situazioni troppo agevoli per essere interessanti, stimolanti, sfidanti.

Mandela dal carcere progettava la nascita di uno stato nuovo, un Sud Africa in cui lui stesso avrebbe perdonato i suoi carcerieri bianchi fautori dell’Apartheid. Beethoven componeva nonostante la sordità. Michelangelo ha incantato contemporanei e posteri con il suo soffitto della Sistina, dipingendo accucciato su ponteggi alti venti metri su cui, ogni giorno, si faceva accompagnare fino in cima la sua dolorosissima artrosi.

Le situazioni di apparente difficoltà costringono a trovare soluzioni nuove, inattese, talvolta spettacolari. Le difficoltà sono preziose.

In copiaincolla non scriviamo coccodrilli né episodi bottiglia ma potrei annoiarvi con altri diciotto articoli in cui elenco tutti i casi in cui anticipare le necessità future o lavorare in condizioni altamente vincolate ci ha condotti a risultati notevoli.

Ma non annoiamoci.