Quest’anno saranno 40. Sì, 40 anni. Sì, non ho nessuna vergogna a dirlo né necessità di mentire. Considero il 1980 un anno molto bello e non ho mai omesso né nascosto l’età. Mancano ancora alcuni mesi a questa tappa (un paio per la precisione), eppure è un po’ che penso a questo come un traguardo importante.

Il giorno del mio compleanno fin dall’adolescenza è sempre stato vissuto per me a mille: 
piango ogni volta.
Non so se si tratti di crisi di invecchiamento perché passa un altro anno. So solo che almeno una lacrima scende sempre, ogni 27 novembre.
Però festeggio ogni volta.


Quest’anno è un anno difficile. Non solo per ciò che stiamo vivendo in Italia e nel resto del mondo: non voglio parlare della pandemia di cui già altri colleghi hanno fatto menzione o approfondimenti. Parlo di un anno difficile per me.

Sapere di affrontare difficoltà così difficoltose a metà della vita (n.d.r. mi piacerebbe vivere di più di altri 40 anni) un po’ mi aiuta.

Vuol dire avere chiare certe cose che a 20 non si hanno ancora.
Vuol dire avere la forza di fare certe cose che a 20 non si ha ancora.
Vuol dire avere la pazienza di saper aspettare che a 60 non si ha più.

Non voglio dire che sia l’età in cui si fanno bilanci sulla propria vita ma sicuramente è l’età in cui alcune domande ottengono delle risposte ed è l’età in cui riflettere. Riflettere su ciò che è stato e su ciò che si vuole per il futuro è quasi quotidiano.

E dal punto di vista lavorativo, quanto incide il raggiungimento di questo traguardo anagrafico?

Si impara a conoscersi di più, a sapere pregi e difetti di se stessi, imparando ad evidenziare i primi e a lavorare sui secondi. Si impara ad ascoltare, a mettersi in discussione, a dire meno NO e più SÌ. Si acquisisce più sicurezza e la si trasmette agli altri.

All’interno di un team, questo vale tantissimo.

Si acquisisce maturità, a fronte dell’esperienza bagaglio degli anni passati, che fa crescere un maggiore controllo sia della situazione che dell’operatività: si eliminano ansie inutili, si dà importanza alle cose che lo meritano e il giusto peso a quelle meno prioritarie. E si cerca di aiutare chi ne ha bisogno perché non le vede.

All’interno di un team, questo vale tantissimo.

Si impara a sorridere: anche per finta. Perché a volte è necessario farlo e bisogna farlo. Si diventa più consapevoli e si prova ad osare anche rischiando, perché è l’ora o mai più. Quando poi capisci che riesci anche a farti seguire nel rischio, questo vale tantissimo.

Si impara a dire GRAZIE: ai colleghi e ai clienti. Solo quando vale la pena, ma caricandolo di quel valore che apre le porte.

Si abbassano le aspettative: nel mio caso sarà un lavoro molto lungo e tortuoso ma la strada è intrapresa. Da sempre ho aspettative molto alte per me e per gli altri: abbassarle significherà capire che bisogna accettare me e gli altri per ciò che siamo, senza pretendere nulla che non sia naturale.

Si impara a scegliere. Si scoprono le emozioni. Quelle cose che prima non sai cosa siano e dopo diventano dei ricordi: adesso invece è il momento dell’esplosione delle emozioni. Belle, brutte, sentite, profonde, palpabili, sincere, vere.

Tutto diventa possibile a 40 anni. Quello che non potevi fare prima lo puoi fare ora. 
E dopo diventa troppo tardi. L’età giusta è questa.

Giusta per cosa poi? Per cambiare? Solo se è necessario.

Per avere coraggio, forse. Per capire che quando fino a quel momento abbiamo visto uno spazio che ci sembrava troppo piccolo in realtà ora si aprono prospettive senza limiti.

Dove sembra finire la strada in realtà ora ne inizia un’altra.

Tra le frasi da Smemoranda che si leggono in giro sui social ce n’è una che mi è rimasta in testa e che mi sento di legare ai miei primi 40 anni:

La vita non è quello che ti succede.

La vita è come reagisci a quello che ti succede.

Ecco forse a 40 anni si scopre come reagire alla vita.

Troppo presto per farmi gli auguri, soprattutto perché sono scaramantica e non si fanno mai prima del tempo. Ma un in bocca al lupo a me e a i miei primi 40 anni, me lo merito.

Da me a me.